C’è anche lei sulla banchina di Lampedusa, ad assistere allo sbarco della Sea Watch e all’arresto della sua capitana, Carola, finita in manette dopo aver fatto scendere a terra i migranti da giorni a bordo dell’imbarcazione. Angela Maraventano, ex vicesindaco leghista dell’isola, inferocita. Se la prende con quella donna tedesca diventata il simbolo, volente o nolente, della lotta alla politica dei porti chiusi di Matteo Salvini. Urla, si dimena. Rischia di far scattare una vera e propria rissa.
A farle da contraltare c’è il precedente sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. “È una vergogna – urla la Maraventano rivolta verso la nave – Qui non si può venire a fare quello che si vuole, non venite nelle nostra isola se no succede il finimondo”. Poi l’affondo sul molo: “Fate scendere i profughi – aggiunge rivolgendosi alle forze dell’ordine – e arrestateli tutti”. Nicolini le risponde per le rime, si rischia di venire alle mani.
Eppure proprio quella donna che invoca manette per tutti nella notte era balzata agli onori delle cronache di colpo, nel 2012, per un caso giudiziario che la vedeva nel ruolo non più di accusatrice ma di accusata. Nello specifico, di non aver pagato i contributi Inps a un dipendente del suo ristorante. Sul caso si era espresso il tribunale di Agrigento, che aveva condannato l’allora senatrice della Lega a tre mesi e a 300 euro di multa.
A segnalare il caso era stato lo stesso Istituto di previdenza, che aveva così fatto scattare le indagini. Secondo l’accusa, la cifra indebitamente trattenuta era di circa 4.200 euro. Tempi ormai lontani: la Maraventano si sente, anche comprensibilmente, riabilitata dopo aver pagato per quell’errore. Gli arresti invocati nella notte con disarmante semplicità, però, fanno decisamente storcere il naso.
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