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Olio di palma: novità dall'EFSA

Non si fa che parlare di olio di palma. Fa male oppure no? Soprattutto da quando l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha pubblicato un nuovo rapporto a riguardo.

Nel testo si parla di oli vegetali, che comprendono anche il famigerato olio di palma, definiti contaminanti da processo. Di che si tratta?
Sono sostanze (nocive) che si formano durante la lavorazione, nel momento in cui si utilizzano alte temperature per raffinare gli oli. Il problema riguarda il fatto in cui, durante questo processo, alcune molecole raffinate restano all’interno del grasso vegetale lavorato. Così va a finire negli alimenti per cui viene utilizzato.

L’allarmismo degli ultimi tempi ha fatto sì che molti prodotti pubblicizzassero la loro estraneità al prodotto, sottolineando la dicitura “senza olio di palma”, data la nomea negativa diffusasi velocemente.

Cosa afferma di nuovo il rapporto Efsa?

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In primo luogo si sono studiati i livelli di consumo della 3-MCPD, nient’altro che un contaminante da processo, che proviene dal glicerolo. Per la maggioranza delle persone non esistono veri e propri rischi per la salute. Ma, stando alle ultime ricerche, il problema sussiste quando si è forti consumatori e per i neonati.

Dove sta la novità? L’Efsa ha quindi deciso la tollerabilità della dose giornaliera: 3-MCPD in microgrammi per kg di peso corporeo. É stata di fatto alzata di due volte e mezzo rispetto allo stesso valore, già indicato due anni fa. Quindi adesso è pari a 2,0 microgrammi per Kgrammo di peso corporeo. Nel 2016 era stato fermato allo 0,8.

Aggiornando questo limite, la faccenda ha fatto discutere parecchio sugli effettivi danni dell’olio di palma. Benché gli studi non riguardino i GE, ma solo la la sostanza 3-MCPD. Infatti i potenziali effetti dei glicidi esteri degli acidi grassi (GE) continuano ad essere indicati come cancerogeni e genotossici, ma fanno parte degli ultimi studi dell’Enfsa.

Inoltre, gli eventuali effetti dannosi dell’olio di palma non interessano solo le persone. Anche l’ambiente ne fa la spese, data comunque la grande richiesta da parte dell’industria alimentare globale.

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Le zone dove viene filtrato e lavorato riguardano soprattutto il sud-est asiatico, in particolare Malesia e Indonesia, produttori del 90% dell’olio di palma utilizzato nel mondo.

Per tenere questa grande produzione, i coltivatori locali incendiano ettari ed ettari di foreste per creare nuovi campi nelle torbiere, ovvero terreni pieni di resti vegetali. In questo modo, col fuoco, si liberano nuvole di metano, monossido di carbonio e ozono, estremamente nocive per l’ambiente e per l’uomo.

Già nel 2016 il Parlamento Europeo aveva affrontata la spinosa questione introducendo un sistema unico di certificazione affinché arrivasse in europa solo l’olio di palma prodotto in maniera ecosostenibile. Aggiungeva inoltre il proposito, entro il 2020, dell’eliminazione completa di tutti gli oli vegetali per la produzione di biocarburanti.

Per ora si attendono ulteriori direttive, mentre dalla Malesia i lavoratori continuano a scioperare contro gli ultimi aggiornamenti, vista la forte occupazione (con circa 650mila piccoli agricoltori) e 3,2 milioni di persone coinvolte nel settore.

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