Sergio Ruocco, il compagno di Sharon Verzeni, ha condiviso con il Corriere la sua profonda sofferenza per la tragica scomparsa della donna. “Non so come farò a vivere senza di lei, in caserma mi chiedevano di spiegare e io non riuscivo a capire”, ha dichiarato Sergio, visibilmente provato. Dopo l’omicidio, ha cercato di non restare solo, accompagnando il padre di Sharon durante la processione di San Donato e partecipando a un presidio contro la violenza di genere insieme al fratello. Sergio non si è nascosto. Anche il 9 agosto, ha deciso di unirsi alla famiglia per un incontro privato in città, spiegando: “Piuttosto che restare a casa, ho preferito venire anch’io. Faccio due passi, scrivo qualche messaggio”.
Smentite le voci infondate
Sergio ha espresso frustrazione per la mancanza di informazioni riguardo le indagini: “Non ci dicono niente e, anzi, ora ci consigliano di restare in silenzio. Quello che sappiamo lo leggiamo online e sui giornali, ma non sempre è corretto”. Tra le notizie inesatte, ha voluto smentire categoricamente di non aver voluto sposare Sharon: “Avevamo appena completato il corso prematrimoniale e volevamo prenderci il tempo necessario per organizzare con calma le nozze nel 2025. Avevamo appena iniziato a cercare ristoranti”.
Ricordi e riflessioni di una relazione
Sergio ricorda con affetto il primo incontro con Sharon: “Era aprile 2011, nel suo paese, Bottanuco. Ero con amici”. Ripensando alla tragica sera dell’omicidio, riflette: “I primi giorni ho pensato agli spacciatori in piazza. Ho pensato che lei avesse visto qualcosa che non doveva vedere, ma ora non ci credo più. Gli spacciatori si fanno i fatti loro e nemmeno ti guardano”. Si interroga se qualcuno l’avesse notata durante le sue passeggiate serali: “Se fosse stato così, spero che me lo avrebbe detto. Ho chiesto anche alle sue colleghe al lavoro, ma lei non aveva detto nulla del genere a nessuno”.
L’importanza della routine e la notte dell’omicidio
Sergio ricorda la loro abitudine di fare lunghe passeggiate: “Di solito, camminavamo per 25-30 minuti, ma nei fine settimana facevamo un giro più lungo”. Ripensando a quella notte, racconta: “Abbiamo guardato la televisione, ma non c’era niente di interessante, così ho dato un’occhiata a due cose di lavoro sul cellulare e poi sono andato a dormire. Lei aveva tre giochi sul telefono e si era messa a giocare, forse è uscita tardi per questo”.
L’interrogatorio in caserma e il supporto del padre di Sharon
Sergio ha anche descritto il momento in cui è stato portato in caserma: “Continuavano a chiedermi ‘devi dirci tu cosa è successo’, ma io come potevo saperlo? Non capivo cosa stesse succedendo in quel momento…”. Parlando del supporto ricevuto dal padre di Sharon, Sergio confessa: “Se non ci fosse lui, non so se sarei qui adesso”.