Si fa sempre più serrato il dibattito sul totoministri. Su ogni giornali italiano da giorni ognuno lancia le sue candidature. Oggi, però, tra le tante voci e le tante analisi è interessante riprendere quella di Carmelo Palma su linkiesta.it: “Dopo avere propiziato l’incarico all’ex Presidente della Bce e salutato con entusiasmo il suo programma di riforme europeiste, c’è una candidatura che i partiti ‘draghiani’ (Italia Viva, +Europa e Azione) dovrebbero apertamente promuovere nel suo doppio significato tecnico e politico: quella di Marco Bentivogli al ministero dello Sviluppo economico”.
Spiega Palma il perché: “È evidente che Draghi non tollererà né imposizioni, né veti. Ma i riformisti che intendono sostenere la sua azione di governo non possono rappresentare un’alternativa senza proposte e volti, in grado di incarnarla. Da questo punto di vista, non c’è nessuno meglio di un sindacalista ‘eretico’, con un’idea fiduciosa e innovativa delle trasformazioni del sistema produttivo, del mondo lavoro e delle relazioni sociali, per rappresentare un’alternativa a due ministri – prima Di Maio, poi Patuanelli (che almeno comprendeva…) – che nella confusione ideologica più totale hanno ibridato un ‘descrescismo’ paranoide con uno statalismo pavloviano e trasformato la politica per la crescita nel dopolavoro del plenipotenziario Arcuri, che, tra un ritardo e l’altro come commissario Covid, ha avuto il tempo di diventare, per conto dello Stato, pure padrone dell’Ilva”.
“In un ministero che dovrà affrontare 170 vertenze sindacali aperte e lasciate marcire e in cui la fine del blocco dei licenziamenti consegnerà ufficialmente alla disoccupazione 2 milioni di lavoratori – argomenta Palma – serve un ministro che non immagini ammortizzatori sociali e redditi di emergenza come alternative al lavoro e allo sviluppo e si preoccupi, in primo luogo, di favorire gli investimenti e le ‘scommesse’ sull’Italia da parte di imprenditori nazionali ed esteri, che proprio le vicende Ilva e Autostrade rendono quanto mai scettici sulla possibilità di fare impresa in Italia in condizioni di certezza del diritto, senza diventare soci subordinati dello Stato”.
Continua Palma: “Da dirigente e poi segretario della Fim Cisl, con iniziative coraggiose, come l’accordo di Pomigliano, che spaccò il mondo sindacale e gli guadagnò sgradevoli minacce di morte, Bentivogli, insieme ad una parte del sindacato, ha dimostrato che modelli produttivi e regole contrattuali innovative non comportano di per sé un sacrificio di diritti e di guadagni per i lavoratori. E dieci anni dopo, i fatti – quanto si lavora e come si lavora a Pomigliano – gli hanno dato abbondantemente ragione. Inoltre, Bentivogli è stato tra i primi sindacalisti a comprendere che la transizione digitale non avrebbe solo rappresentato un rischio, ma anche un’opportunità per la trasformazione del lavoro, a condizione di non pensare, e non illudere i lavoratori, che l’occupazione e l’occupabilità ai tempi della quarta rivoluzione industriale potessero essere interpretate secondo le categorie del passato”.
Conclude Palma: “Serve chi ha costruito piani di sviluppo industriale e gestito vertenze. Sono sicuro che anche il suo amico-avversario Landini preferisca avere una figura che, prima di tutto, comprenda i problemi lasciati sul tavolo. Serve esattamente un ministro così, per uscire dal millenarismo di chi profetizzando ‘la fine del lavoro’, oltre a maledire la ‘dittatura della crescita’, propone come nuovo sole dell’avvenire un nirvana assistenziale universale, a spese, ovviamente, dei ‘padroni'”.
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