Non c’è pace per Paolo Borsellino. Il magistrato siciliano fu barbaramente ucciso da una bomba mafiosa, insieme agli agenti della sua scorta, il 19 luglio del 1992 a via D’Amelio, a Palermo. Esattamente 30 ani fa. Manifestazioni e iniziative sono in corso in tutta Italia. Ma la famiglia di Borsellino stavolta ha scelto di non partecipare e di restare in silenzio, in aperta polemica con le indagini sulla strage e con la mancata individuazione di quelli che sono ritenuti essere i veri mandanti di quell’attentato.
A pesare sull’atteggiamento di chiusura della famiglia di Paolo Borsellino nei confronti dello Stato sono le troppe ombre che ancora oggi si concentrano sulle indagini. Nessuno ancora ha saputo spiegare gli innumerevoli depistaggi messi in atto a partire da quel tragico 19 luglio. A cominciare dalla sparizione della valigetta del magistrato con dentro la ormai famigerata agenda rossa. E poi, i misteri intorno al falso pentito Vincenzo Scarantino che per anni ha convinto i giudici di Palermo con una verità giudiziaria poi rivelatasi totalmente artefatta. Per non parlare dei sospetti del giudice sull’estrema destra rappresentata dalla presenza di Stefano Delle Chiaie in Sicilia in quel periodo.
“I familiari sentono il dovere di tutelare quei nipoti che non hanno conosciuto Paolo Borsellino e ne hanno sentito parlare solo in relazione alla strage”, dichiara l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia, una delle figlie di Borsellino, insieme ai fratelli Manfredi e Fiammetta. Secondo il legale, i nipoti del magistrato rischiano di perdere “quella fiducia nello Stato che Paolo Borsellino, anche quando denunciava il ‘covo di vipere’ che si annidava nella procura di Palermo, non ha mai perso. Se succedesse, sarebbe l’ennesimo affronto”, lancia l’allarme.
“Il tempo della verità processuale si è chiuso”, aggiunge sconsolato Trizzino secondo il quale però “la verità storica non ha scadenza e per quella continueremo a combattere”. Parole dure utilizzate anche dal fratello del giudice, Salvatore Borsellino: “Ora chiediamo noi il silenzio. Alle passerelle e alla politica. Perché invece di fare tesoro di ciò che in questi trent’anni è successo, la lotta alla mafia non fa più parte di nessun programma”.
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