L’attore genovese, noto al grande pubblico per aver interpretato i molteplici aspetti dell’italiano medio, se n’è andato lasciando un ricordo dolceamaro nel cuore di grandi e piccoli
Dalla vita semplice al successo popolare, dalla tv al cinema, dai film comici a quelli d’autore. Paolo Villaggio verrà da molti ricordato per il suo alter ego cinematografico, il mitico “ragioniere Fantozzi”, che interpretò egregiamente in ben 10 pellicole.
L’attore si è spento oggi all’età di 84 anni a causa di complicanze dovute al diabete, “curato poco e male” stando alla testimonianza dei figli Elisabetta e Pierfrancesco.
Ma Paolo Villaggio era cosi: un’anima spaccata in due, un uomo sensibile e scontroso, un attore di talento poco riconosciuto.
Gli anni del successo nazional popolare
Il grande pubblico lo ricorda bene, prima sul palco dei cabaret e poi in televisione, dove apparvero i suoi indimenticabili personaggi: il professor Kranz e l’impiegato Fracchia, che ottennero un successo immediato. Villaggio, che proprio dalla periferia genovese era partito, dilettandosi ad intrattenere il pubblico mentre lavorava effettivamente come impiegato in un’azienda, approdò nella capitale per abbracciare prima il pubblico televisivo e poi quello cinematografico, ottenendo la consacrazione definitiva con il film Fantozzi, nel 1975. Da allora la sua carriera è stata un seguito di grandi successi. “Fantozzi”, e con lui “Fracchia” e altri personaggi popolari, rappresentavano con ilarità e leggerezza i vizi e le debolezze dell’italiano medio degli anni ’70 e ’80. C’erano tutti gli stereotipi del caso, tanto che il pubblico rideva amaramente perché guardando l’attore sullo schermo si riconosceva in tutti i suoi atteggiamenti. Poca cultura, tante smorfie, ma soprattutto quelle memorabili battute irriverenti che sono diventate parte del patrimonio collettivo italiano e che ancora oggi fanno parte dei modi di dire delle nostre famiglie.
Un successo inatteso, che ha promosso Villaggio a narratore ed interprete perfetto di una società dove il piccolo temeva il potente, dove le frustrazioni portavano indifferenza e inadeguatezza, ma dove infine ci si poteva prendere qualche soddisfazione come esclamare in pubblico una grande verità: la corazzata poteomkin è una ca….a pazzesca!!!
Totò, Sordi e Villaggio: artisti riconosciuti troppo tardi
Paolo Villaggio era entrato prepotentemente nelle case degli italiani, come prima di lui avevano fatto il grande attore partenopeo Totò e l’indimenticabile romano Alberto Sordi. Un tratto che accomuna i tre maestri della risata italiana è quello di esser stati attaccati ferocemente dalla critica durante la loro vita, pur ottenendo grandiosi successi di pubblico al botteghino per l’interpretazione delle loro commedie. Eppure, tutti e tre i comici avevano girato anche film con grandi maestri, interpretando spesso ruoli tragici e lontani dalle macchiette conosciute ai più.
Ma ciò non ha loro garantito lo status di Artisti o Attori a tutto tondo, che è sempre arrivato tardi oppure postumo.
Paolo Villaggio ha girato pellicole per Gassman, Fellini, Ferreri e Olmi. Ha vinto un David di Donatello e un Nastro d’Argento, oltre al Leone d’oro alla carriera ritirato nel 1992. Ma tutti lo ricordano sempre e solo come l’inadeguato e irriverente Ugo Fantozzi.
Se ne va l’artista bisbetico più amato dal pubblico
Come spesso accade, gli amici e i colleghi più vicini parlano di lui come di una persona difficile, estremamente sensibile e tremendamente schietta nei confronti di chi lo frequentava. La “macchietta” che eravamo abituati a vedere in tv, con la lingua di traverso e le mani giunte, partiva da un buon conoscitore del suo tempo: Villaggio aveva portato, sul grande schermo, attraverso il suo alter ego, l’amarezza che l’Italia soffriva in quel periodo. Le risate erano sguaiate, e servivano a sdrammatizzare situazioni in cui spesso ci si tirava indietro e non si aveva il coraggio di affrontare i problemi della vita quotidiana. Se n’è andato un attore di talento, che basta riguardare nei film meno conosciuti per capire immediatamente che non ha ottenuto il riconoscimento che invece avrebbe meritato. Con lui se ne va anche un pezzo d’Italia semplice, lavoratrice, sottomessa, ma che riusciva e riderci su e ad andare avanti con orgoglio e dignità.