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Patrimoniale: per Confindustria basta, ne abbiamo già 17!

di Nicola Iuvinale

Confindustria ha depositato un corposo paper. La tassazione dei redditi personali (IRPEF), in Italia, sfugge ormai ad ogni modello teorico e porta a risultati illogici che impattano negativamente sul lavoro, sui consumi e sul risparmio. Questi, in sintesi, i passaggi essenziali dell’Associazione sul sistema fiscale italiano.

La tassazione patrimoniale

In Italia non dovrebbe esserci un tabù sulla patrimoniale, dato che ne abbiamo in vigore già 17 che portano nelle casse dell’Erario ogni anno circa 37 miliardi di euro. Il tema, secondo Confindustria, non è dunque “SE” introdurre “LA” patrimoniale, ma come riorganizzare quelle che abbiamo già. Considerando quelle che incidono sul mero possesso e quelle che impattano il trasferimento del patrimonio mobiliare e immobiliare – a titolo esemplificativo: Imposta di registro, imposta di bollo, IVAFE, imposta catastale, IMU, IVIE, sostitutive dell’imposta di bollo registro e catastale, imposta di successione e donazione, canone RAI, Tobin Tax, Bollo auto e superbolli, Imposta Provinciale di Trascrizione, etc.

La progressività

Dipendenti e pensionati insieme fanno l’87% dei contribuenti IRPEF e versano circa l’81% dell’imposta totale. Ricadere nella progressività dell’IRPEF vuol dire essere soggetti a molteplici distorsioni, particolarmente gravi, che vanno corrette. Per un lavoratore dipendente l’aliquota marginale effettiva sopra i 28 mila euro è di oltre il 31% (quella legale è del 27%). Tra i 35 mila ed i 45 mila euro il prelievo effettivo arriva al 61%! (a fronte di un’aliquota legale del 38%). In poche parole, guadagnare un euro in più può voler dire intascare pochi centesimi o al limite anche peggiorare la situazione economica netta della propria famiglia. Non è esattamente quello che definiremmo un sistema che incentiva al lavoro e alla produttività!

La famiglia e l’unità impositiva

Nel 2019 sono nati in Italia 420 mila bambini, il minimo storico in 150 anni. Secondo l’ISTAT nel 2021 saremo sotto la soglia dei 400 mila nuovi nati. È quello che il Presidente della Repubblica Mattarella ha giustamente definito “un problema per la sopravvivenza del Paese”. Questo “inverno demografico” è un fenomeno complesso, di certo non governabile solo con lo strumento fiscale. Però, in questa sede, sempre secondo Confindustria, dobbiamo interrogarci se agire anche sulla leva fiscale possa aiutare ad invertire la rotta. In Italia il reddito è tassato su base individuale, senza considerare la ricchezza complessiva del nucleo familiare. È un punto di debolezza.

Il rapporto Fisco-Contribuente

Serve una Amministrazione finanziaria efficiente, sulla quale le imprese in primis evidenziano la necessità di investire, per fronteggiare un quadro normativo in evoluzione, che sarà connotato da una sempre maggiore complessità, da implicazioni di carattere transnazionale e dalla convergenza, su norme fiscali, di discipline tecniche di varia natura. Analoghi investimenti dovrebbero essere effettuati nella giustizia tributaria, verso una maggiore specializzazione e una maggiore appetibilità degli istituti deflativi del contenzioso. Occorre proseguire sulla via – intrapresa ma ancora lunga – che porta ad un miglioramento strutturale del rapporto fisco-contribuente, capace di superare quella ben nota dimensione antagonistica che non crea vincitori e depaupera le energie del Paese. Continuano ad affiorare al riguardo problemi antichi: normative fiscali ispirate alla patologia e non alla fisiologia del rapporto fiscale, e tendenze aggressive all’accertamento, che andrebbero definitivamente superati. Esistono ormai da oltre 20 anni dei principi codificati nell’ordinamento a tutela del contribuente e dei suoi diritti; principi che dovrebbero guidare l’azione del Legislatore, dell’amministrazione, dei cittadini e delle imprese. Occorre ripartire da quei principi e da quei diritti, per il cui pieno rispetto non è mai troppo tardi.Imprese

Infine, per quanto riguarda le imprese, dal Rapporto annuale della Banca Mondiale (“Paying Taxes 2020”) risulta un carico fiscale complessivo sulle imprese italiane pari al 59,1% dei profitti, a fronte di una media del 40,5% a livello mondiale, e del 38,9% a livello europeo.

Abrogazione dell’IRAP

Dalla sua istituzione nel 1997, l’IRAP ha progressivamente perso la sua originale connotazione e il suo impatto economico si è ridotto. L’abrogazione definitiva produrrebbe indiscutibilmente vantaggi su molti fronti, tra cui quello della semplificazione e dell’attrattività del Paese per nuovi investimenti.Conclusioni

Il sistema fiscale andrebbe ridisegnato integralmente.

Come ha più volte rilevato l’Ocse, in Italia il prelievo sul lavoro è tra i più elevati in Europa: l’aliquota implicita di tassazione sul lavoro, che include anche i contributi sociali versati dal datore e dal lavoratore, è stata pari nel 2018 al 42,7% (la terza più alta), a fronte di una media del 38,6 per cento per l’area dell’euro. L’Unione europea ha più volte, inutilmente, invitato l’Italia a ridurne il peso per liberare ulteriori risorse. Ad avviso di chi scrive, poi, bisognerebbe valutare anche un possibile concordato fiscale per sostenere le PMI maggiormente colpite dalla crisi pandemica. Sarà, anche questa, si spera, la base su cui dovrà lavorare il governo Draghi.

NOTE: La tassazione in Italia: lo stato dell’arte a cura dell’Ufficio Studi del Senato della Repubblica

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