La notizia ha scandalizzato l’Italia intera, eppure è successo davvero. Per un pasticcio nel calcolo della pena, il pluriomicida Domenico Paviglianiti, boss della ‘Ndrangheta, è stato scarcerato. L’ergastolano era già stato liberato una prima volta ad agosto e riportato in cella pochi giorni dopo: questa volta, però, pare sarà per sempre. Il suo ricorso è stato riconosciuto fondato dal gip del tribunale di Bologna, Domenico Trippa, perché è “evidente” che la condanna del 2005 grazie alla quale il boss di ‘ndrangheta era stato riportato in cella “non è un elemento di novità sopraggiunto” in quanto “è stata valutata già anche dal gip” che due mesi fa commutò l’ergastolo in 30 anni perché era stato “violato il principio di buona fede internazionale”.
La storia di Paviglianiti era già stata raccontata l’8 agosto dal Corriere della Sera, quando era emerso che i legali dello ‘ndranghetista, facendo leva sulla “promessa” dell’Italia alla Spagna di non condannarlo all’ergastolo perché nel Paese iberico non era previsto quando venne estradato, si erano visti riconosciuti la commutazione della pena in 30 anni. Tra permessi e benefici, la pena si era estinta e quindi il boss doveva tornare libero. Per legge.
Poco dopo era stato di nuovo arrestato, facendo leva su una condanna a 17 anni del 2005, successiva all’estradizione avvenuta nel 1999. Ma ora il giudice ha ritenuto che quella fosse già nel computo della pena che stava scontando fino ad agosto, quindi Paviglianiti – come racconta il Corriere della Sera – è stato nuovamente scarcerato.
Paviglianiti era stato coinvolto nella guerra di mafia, tra la cosca De Stefano (di cui avrebbe fatto parte Paviglianiti) e i condelliani, che ha gettato nel baratro Reggio Calabria con quasi mille morti ammazzati dal 1985 al 1991. Erano gli anni in cui Paviglianiti girava con la macchina blindata per paura di cadere sotto i colpi della cosca rivale. Rimediata la condanna per associazione mafiosa, nel 2009 Paviglianiti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dei Antonio Pontari e per un triplice tentato omicidio. Nel 1991 fu coinvolto nell’omicidio di Roberto Cutolo, il figlio del capo della Nuova camorra organizzata Raffaele.
Un’altra pagina buia per la giustizia italiana, dopo la decisione della Consulta di concedere permessi anche ai boss mafiosi con il 41bis, e dopo la decisione, della Corte di Cassazione, di non riconoscere “Mafia Capitale” come mafia, e quindi portando a un ricalcolo al ribasso per le pene di Buzzi e Carminati. Dopo queste brutte vicende, la scarcerazione di un boss pluriomicida getta ancora più malumore nell’opinione pubblica. Mentre l’Italia è assediata dal commercio di droga e la criminalità si diffonde a macchia d’olio.
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