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Pelé non risponde più alle cure, tutto il Brasile in apnea

Pelé non risponde più alle cure, sia quelle chemioterapiche per le sue metastasi, che quelle antidolorifiche. Ricoverato da mercoledì 30 novembre all’ospedale Albert Einstein di San Paolo, riceve solo cure palliative.

A riferire delle condizioni del grande campione e simbolo del Brasile è “A Folha”, il popolare quotidiano paulista che riprende in buona parte le anticipazioni dei giorni scorsi di ESPN.

Sull’Ansa si apprende, inoltre, che mentre Nely Nascimento, figlia dell’82enne campione di calcio ed ex ministro dello Sport di Lula, parlava di un ricovero programmato da tempo e di una situazione assolutamente sotto controllo, l’emittente televisiva rivelava che, al momento dell’ingresso in ospedale, l’ex calciatore presentava un evidente gonfiore su tutto il corpo.

Il personale medico che lo ha preso in cura ha confermato la condizione di “anasarca” (gonfiore generalizzato), una “sindrome edemigemica” (edema generalizzato) e ha rilevato un forte scompenso cardiaco.

Tutto il Brasile è in attesa incredula, in apnea, preparandosi ad un nuovo “Maracanazo”.

L’impresa di segnare ancora un gol, l’ultimo, contro la sua brutta malattia, questa volta a Pelé non è riuscita. Aveva annunciato di avere un tumore ad aprile 2021, poi questo si è trasformato in metastasi e da quel momento si è dovuto sottoporre mensilmente alla chemioterapia, che però non ha dato gli effetti sperati.

Così, mentre il suo Brasile dà spettacolo ai mondiali in Qatar, lui, a 82 anni, è stato improvvisamente ricoverato in stato confusionale, con un’anomalia cardiaca e il corpo rigonfio.

Un giovanissimo Pelé e la prima Coppa Rimet

“Pelé chi, il diavolo? Ha segnato il diavolo in persona, è il diavolo”: Alfred John Kelsey, il portiere del Galles ai mondiali in Svezia del 1958, commentò così il primo gol con la maglia del Brasile di un certo Edson Arantes do Nascimento, che da quel mondiale in poi sarebbe stato per tutti, semplicemente, Pelé.

Nato il 23 ottobre del 1940 a Tres Coracoes, nello stato di Minas Gerais, quel ragazzino minuto aveva debuttato in nazionale segnando un gol proprio ai rivali di sempre dell’Argentina, pochi mesi prima, guadagnandosi la fiducia di mister Feola.

Sarebbe stato il calciatore più giovane a segnare in un mondiale. E nella stessa competizione, Svezia ’58, anche il più giovane a segnare tre gol in una sola partita. Contro la Francia, in semifinale. E il più giovane a fare doppietta in una finale. Contro la Svezia, contribuendo al 5-2 definitivo.

Pelé avrebbe fatto impazzire di gioia i suoi connazionali, che lo chiamarono O’Rei, il re, altre due volte: in Cile nel 1962 e in Messico, nel 1970, annichilendo per 4 a 1 un’Italia che veniva da “quella” partita con la Germania, definita la più bella partita di calcio della storia, vinta dagli azzurri per 4 reti a 3.

Pelé e la squadra del Santos

Pelé fece della sua nazionale la residenza definitiva per la Coppa Rimet, come si chiamavano i mondiali, appunto, fino al 1970, perché la formula prevedeva che il trofeo sarebbe stato di proprietà della nazionale che se lo fosse aggiudicato per tre volte.

Nei primi anni della sua carriera, Pelé era uno di quelli che andavano a nozze con i difensori europei: arcigni, esperti, troppo lenti per uno che sbuca all’improvviso alle tue spalle facendo sparire il pallone. Un diavolo, per tutte le difese e tutti i portieri del mondo.

Pelé portato in trionfo

Nonostante la sua predilezione per i difensori europei, però, il Brasile, di fatto, nazionalizzò il “suo” patrimonio, impedendogli di avere una carriera fuori dai confini nazionali. Quanto sarebbe stato bello vederlo al Real Madrid, al fianco di un’altra leggenda del calcio come Alfredo Di Stefano? Perché non all’Ajax dell’attaccante “totale”, Johan Cruijff? O magari al Milan del funambolico Gianni Rivera, o addirittura in bianconero in coppia con l’amico-nemico Omar Sivori?

Pelé segna contro l’Italia nella finale di Messico 1970

Non lo sapremo mai. Ma sappiamo con quali campioni ha giocato. Di lui scrisse Gianni Brera che “Pelé vede il gioco suo e dei compagni: lascia duettare in affondo chi assume l’iniziativa dell’attacco e, scattando a fior d’erba, arriva a concludere. Mettete tutti gli assi che volete in negativo, poneteli uno sull’altro: esce una faccia nera, un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti”.

Dieci tra i più bei gol di Pelé

Ecco, la summa del gioco del calcio, non a caso definito “Calciatore del secolo” dalla Fifa, aveva condiviso il campo con stelle del calibro di Garrincha, Zito, Didì, Vavà, Zagalo, Amarildo, Gilmar, Felix, Carlos Alberto, Rivelino. E tanti, tanti altri ancora.

La sua permanenza nella gabbia dorata del Brasile ha fatto godere i tifosi del Santos: 568 reti in 580 partite, prima di andare a far cassa al Cosmos di New York sul finale di carriera e dopo aver lasciato la nazionale. Statistiche leggere e non affidabili, ma i numeri non mentono sulla grandezza del calciatore.

“Guarisci presto”, la dedica della torcida a Pelé

Una storia nazionalpopolare come la sua non può essere fatta di sola gioia, sebbene il lato luminoso sia stato così abbagliante, ma tra i lutti, le vicende nazionali, la disperazione provocatagli dai figli, O’ Rei è sempre rimasto connesso con l’enorme affetto del suo popolo e del mondo intero.

Che ora attende, senza fiato, di poterlo riabbracciare, come recitava, speranzoso, lo striscione esposto nella partita dei verderoro contro il Camerun, persa, ma con la qualificazione già in tasca.

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