La riforma delle pensioni a quota 100 partirà dal prossimo 1° aprile: a confermalo l’ultima bozza del decreto attuativo della misura che cambierà l’accesso pensionistico nel 2019. Oltre alla quota 100, la bozza conferma l’uscita con l’opzione donna e la proroga dell’Ape Sociale. Quota 100 partirà in via sperimentale nel triennio 2019-2021, ed entrerà in azione non appena il consiglio dei ministri darà ufficialmente il via libera alla misura. Dunque dalla bozza del decreto, la prima finestra di uscita dovrebbe appunto essere prevista per il mese di aprile (con il condizionale che è d’obbligo visto che il decreto definitivo ancora deve essere reso pubblico) per tutti coloro che avranno i requisiti di uscita previsti da quota 100, ovvero avere dai 62 anni di età insieme ad almeno 38 anni di contributi. Ma vediamo nel dettaglio come cambiano le regole per l’uscita anticipata.
Alcuni paletti per Quota 100
La potenziale platea che quest’anno potrebbero andare in pensione con la nuova riforma pensionistica sono circa 430mila lavoratori. Come riporta il quotidiano Il Corriere della Sera, poiché quota 100 è una scelta volontaria, nel decreto legge ci saranno alcuni paletti che complicheranno l’uscita dei lavoratori per fare in modo di ristringere la platea dei potenziali beneficiari e garantire un maggior risparmio per le casse statali. Infatti, i tecnici stimano che quelli che effettivamente decideranno di utilizzare questa forma di pensionamento saranno circa 315 mila persone, di cui il 40% dipendenti pubblici. È questa la platea che dovrebbe consentire di stare nello stanziamento di 3,9 miliardi di euro rispetto ai 6,7 miliardi inizialmente messi a Bilancio. A favore di questo contenimento della spessa saranno concorreranno soprattutto le “finestre” trimestrali per i dipendenti privati (per loro le pensioni decorreranno non prima di aprile) e semestrali per i pubblici (i primi assegni a luglio).
Divieto di cumulo e diminuzione dell’assegno
Nella bozza del decreto è previsto che l’assegno pensionistico con quota 100 non sia cumulabile con redditi da lavoro superiori a 5 mila euro l’anno. Il divieto dura fino al momento in cui il pensionato raggiunge l’età di vecchiaia (oggi 67 anni). Inoltre, l’assegno previdenziale che andrà a percepire chi aderirà a quota 100 sarà più leggero. Tale taglio potrà arrivare fino ad un terzo dell’importo rispetto a quello che si avrebbe percepito con la pensione di vecchiaia. Uscendo prima, infatti, si possono far valere meno anni di contributi e il coefficiente di calcolo applicato è più basso per le età più giovani, perché il montante pensionistico dovrà appunto essere spalmato su più anni di erogazione. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, il taglio dell’assegno cresce «da circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno a valori oltre il 30% se l’anticipo è di oltre 4 anni». Tagli che si riducono «attualizzando» la pensione con quota 100, cioè tenendo conto del fatto che si percepirà per più tempo: si va così da una riduzione di appena lo 0,22% per chi anticipa di un anno a una di quasi il 9% per chi lascia il lavoro quest’anno anziché nel 2025.
Se l’azienda ti riscatta la laurea
Nel decreto, anche la possibilità di anticipare l’uscita a 59 anni con 35 anni di contribuzione: lo prevede l’articolo 22, che consente questo “scivolo” nell’ambito di accordi sindacali aziendali che comportino assunzioni. Tuttavia, la restante parte dei contributi da versare per raggiungere i requisiti per Quota 100 resta a carico delle imprese. L’articolo, poi, consente alle imprese di versare, al posto dei lavoratori, anche i contributi per il riscatto della laurea: per esempio, un lavoratore con 59 anni e 31 anni di contributi arriverebbe ai 35 necessari col riscatto di 4 anni del corso di laurea, e l’impresa dedurrà gli oneri dal reddito.
Pensioni di anzianità
Per quanto riguarda i trattamenti di anzianità, a cui si accede in forza di una lunga storia contributiva, indipendentemente dall’età anagrafica, il Governo ha bloccato l’aumento dei requisiti previsto per quest’anno. In base alle norme precedentemente in vigore, dal 2019 l’asticella sarebbe dovuta salire di cinque mesi per l’adeguamento alla speranza di vita. Dunque in base al nuovo decreto si manterranno i requisiti per le pensioni di anzianità uguali a quelli previsti per il 2018: 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne.
Lavoratori precoci
In merito alle nuove regole di pensionamento per i lavoratori precoci, ovvero quelli che hanno versato almeno 12 mesi di contributi prima di aver compiuto 19 anni, il decreto abolisce anche per loro lo scatto di cinque mesi per l’adeguamento alla speranza di vita, ma precisa che si consegue “il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti”. I precoci, quindi, continueranno ad andare in pensione con 41 anni di contributi, ma dovranno aspettare altri tre mesi per incassare il primo assegno.
L’opzione donna
Riconfermata anche nel 2019 l’Opzione donna, che quest’anno consentirà di andare in pensione alle lavoratrici dipendenti nate entro il 31 dicembre 1959 e alle autonome nate entro il 31 dicembre 1958. Le condizioni, come sempre, sono due: avere almeno 35 anni di contributi e accettare che l’assegno venga calcolato interamente con il sistema contributivo. Attenzione però perché il taglio dell’assegno potrebbe arrivare anche al 20-25% rispetto a quello che si riceverebbe con una pensione di vecchiaia o aderendo a quota 100.
Ape sociale
Infine, viene prorogato a tutto il 2019 anche l’Ape social, che resta in vigore con le regole dell’anno scorso. Quindi, è ancora possibile per quest’anno chiedere la misura di welfare che consente a chi ha almeno 63 anni (ed è ricompreso in una delle speciali categorie di aventi diritto) di uscire in anticipo dal mondo del lavoro.
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