É ormai risaputo che molti giovani italiani preferiscono puntare su una carriera fuori dall’Italia piuttosto che restare imbrigliati in anni di precariato nel nostro paese.
Un esempio è costituito dai laureati che, avendo vissuto per un periodo in un altro paese, grazie al progetto Erasmus, tendono a cercare lavoro nel paese dove hanno fatto l’esperienza di studio.
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La differenza di retribuzione cresce proporzionalmente al titolo di studio, mentre in Italia è appena riconosciuto un aumento da un grado all’altro, spesso neanche troppo preso in considerazione durante l’assunzione.
L’Ocse parla chiaro: l’Italia è il paese che investe meno sui giovani. É opportuno capire anche da cosa dipende la differenza di guadagno e perché.
In primo luogo le retribuzioni dei paesi esteri sono maggiori in quanto si rapportano ad un maggiore potere d’acquisto. Ma questo non vale per tutti. Ci sono regioni estere che hanno un costo della vita esattamente uguale a quello delle nostre città, eppure gli stipendi dei giovani sono quasi il doppio di quelli italiani.
La causa della disparità non è una sola, ma sono numerose: per esempio la bassa produttività degli ultimi vent’anni, che ha gettato l’Italia in una crisi senza precedenti e che ha influenzato tutte le retribuzioni, da quelle private a quelle pubbliche, dai giovani ai meno giovani.
In Italia la produzione per lavoratore è cresciuta solo dello 0,97% negli ultimi 10 anni. Ci sono paesi come l’Irlanda dove, nello stesso periodo, c’è stato un aumento di quasi venti dollari.
Inoltre, c’è il problema relativo al mercato del lavoro: i tempi di inserimento, attraverso contratti a collaborazione e part-time, diventano sempre più lunghi. Di conseguenza siamo il paese che si stabilizza più tardi sul mercato europeo. E poi, stipendi più bassi ed età media che si allunga. Infatti in Italia bisogna aspettare di raggiungere almeno 35 anni per avere una buona media di occupazione fissa, con conseguente mutuo e famiglia a carico.
Purtroppo i dati rilasciati dall’Inps non sono positivi: registrano un aumento delle assunzione a tempo determinato tra i giovani di età compresa tra i 25 e i 29 anni di età, mentre i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti, passando da 116.603 a 71.688 negli ultimi due anni.
Infine anche agevolazioni come l’apprendistato finiscono per non aiutare i giovani nel momento in cui l’inserimento nel mondo del lavoro offre poi inquadramenti più bassi in confronto all’offerta lavorativa estera.