Un orrore senza fine, quello che sta emergendo giorno dopo giorno dietro i sei carabinieri arrestati a Piacenza per un numero di reati lunghissimo, che parte dallo spaccio e arriva alla tortura. Una vera e propria organizzazione criminale che si nascondeva dietro la divisa, convinta di essere intoccabile. E che si comportava come e peggio di quei malavitosi che, in teoria, il gruppo aveva promesso di combattere. 
Circa 75 mila le conversazioni telefoniche che incastrano i sei, che non si preoccupavano neanche più di nascondere agli occhi del mondo esterno il loro operato. Chiamate continue durante le quali scherzavano e facevano vanto delle loro “bravate”, selfie con i soldi sequestrati agli spacciatori in mano e via dicendo, in un crescendo di auto-celebrazione. E alcuni passaggi che fanno veramente inorridire.
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In una delle intercettazioni si sente ad esempio Giuseppe Montella, uno dei sei arrestati, raccontare al figlio di essersi fatto male durante un’operazione: “
Ho preso un piccolo strappo… perché ho corso dietro a un negro”. Il ragazzino, 11 anni, ormai evidentemente abituato alla violenza messa in atto dal padre e anzi fiero del suo operato, gli chiede a quel punto: “L’hai preso poi? Gliele avete date? Chi eravate? Chi l’ha picchiato?”.
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La risposta, tristemente prevedibile, è “Eh, un pò tutti”. In altre conversazioni si sentivano i protagonisti della vicenda parlare così di un altro episodio: “Hai presente Gomorra? Guarda che è stato uguale. Tu devi vedere gli schiaffoni che gli ha dato”.
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