Si allargano le indagini sulla caserma Levante di Piacenza, finita al centro delle cronache per i reati commessi dai carabinieri che stavano lì di servizio. Nella caserma, ma anche nella compagnia, negli anni sono transitati parecchi carabinieri, graduati e ufficiali. È a chi è stato zitto che puntano gli sviluppi dell’inchiesta della Procura diretta da Grazia Pradella. Alcuni indagati, infatti, lavorano a Piacenza da una decina di anni, come Montella e Marco Orlando, che ha comandato la Levate prima di finire ai domiciliari. Da prima, cioè, dei reati del capo di imputazione che partano solo dal 2017. Carabinieri che a vari livelli sapevano, ma non hanno denunciato nulla né ai loro superiori né tantomeno alla magistratura, come sarebbe stato loro dovere fare. Per la Procura è arrivato il momento di scavare e di allargare le indagini.
Gli interrogatori dei principali indagati nell’inchiesta sulla caserma Levante aprono ulteriormente lo scenario delle indagini fino ad ora delineato dalla Procura di Piacenza che presto potrebbe estendersi ad altri militari che hanno assistito o sono venuti a conoscenza dei traffici e delle illegalità diffuse che ruotavano intorno all’appuntato Giuseppe Montella. “Nessuno mi ha fatto mai una segnalazione, ma non posso pensare che nessuno si sia reso conto di quello che succedeva nella caserma”, dichiara il maggiore Stefano Bezzeccheri, che ha comandato la compagnia di Piacenza fino a mercoledì scorso, al gip Luca Milani che gli ha notificato il provvedimento di obbligo di dimora.
Ad altri sette carabinieri sono stati arrestati con ipotesi di reato gravissime che vanno dalla tortura al sequestro di persona, dall’arresto illegale allo spaccio di droga. Come riporta il Corriere, per quattro ore l’ufficiale risponde alle domande anche del pm Matteo Centini, titolare dell’inchiesta con il collega Antonio Colonna, ma esclude di aver avallato la mancata segnalazione al Prefetto di uno spacciatore, vicenda che gli è costata l’accusa di abuso d’ufficio.
Nell’interrogatorio di garanzia, Bezzeccheri (difeso dall’avvocato Wally Salvagnini) ammette di non aver ostacolato l’abitudine di Montella di arrestare più persone possibili (anche illegalmente secondo l’accusa) in modo da aumentare i numeri a fine anno. Dice anche di non aver mai saputo che Montella e gli altri spesso pestavano gli arrestati, quasi sempre immigrati accusati di spaccio che venivano “convinti” a diventare informatori e ricompensati con la droga sequestrata.
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