G7 di Bergamo, si gettano le basi per il pluralismo agricolo
Il pluralismo agricolo sarà presto una realtà: questo dicono i vertici del G7 sull’agricoltura riuniti a Bergamo. I principali paesi sia europei che di altri continenti hanno preso parte al summit nel capoluogo orobico per discutere di molte tematiche, tra cui il futuro agricolo dell’Italia e del resto del mondo.
I rappresentanti di paesi africani hanno portato al meeting bergamasco le loro istanze sulla povertà e la disuguaglianza che ancora attanaglia il loro continente, chiedendo un impegno mondiale per ridurre la fame nel continente africano.
I paesi industrializzati, per contro, hanno mostrato molto dinamismo nel proporre progetti di agricoltura sostenibile e di redistribuzione della ricchezza. Non ultima l’Italia, sede del summit, che ha avanzato la sua proposta di agricoltura plurale e multilivello.
Il risultato probabilmente più importante del G7 di Bergamo è stata la Carta del Biologico, un documento che racchiude tutti i principi di definizione dei prodotti a indicazione geografica controllata e garantita. Questa modalità di regolamentazione getta le basi per dei controlli rigidi sulla qualità e sui marchi.
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L’Italia e il pluralismo agricolo: una sfida possibile?
Con pluralismo agricolo si intende un mondo dell’agricoltura che spazia a 360°. L’Italia è celebre per le sue produzioni agricole e agroalimentari, sia in campo artigianale che nell’ambito delle grandi industrie.
La sfida della pluralità sta proprio nel tenere insieme tutte queste realtà senza lasciare che le une prevarichino sulle altre.
Le grandi industrie sono certamente pensate per la produzione seriale di beni che servono su larga scala. A loro va il compito di trascinare l’economia italiana verso una continua crescita, esportando prodotti di ottima qualità e di fattura 100% made in Italy sul grande mercato internazionale.
Affiancate ad esse, però, ci sono le piccole imprese artigianali che lavorano soprattutto nel campo del biologico. Il loro export non può di certo competere con le grandi industrie che fungono da traino, ma è giusto che in una situazione di pluralità sostenibile e di pari diritti ad esistere, anche questo tipo di imprese abbia la propria voce in capitolo.
Le due realtà devono coesistere e devono portare arricchimento ognuna a proprio modo. Laddove non sarebbe possibile un’agricoltura basata esclusivamente sulla produzione artigianale e di piccola dimensione, un’industria agroalimentare di tipo esclusivamente meccanizzato e con dinamiche industriali ampie taglierebbe le gambe a tutte le realtà che hanno reso grande l’agricoltura italiana nel mondo.
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I vantaggi di questa scelta
Quali possono essere i vantaggi di una scelta orientata al pluralismo agricolo?
Innanzitutto la sopravvivenza delle piccole e medie imprese in questo settore. Il rischio di un’industrializzazione spinta avrebbe impedito a queste realtà, spesso a conduzione familiare, di continuare ad esistere.
Questo tipo di agricoltura, per altro, dà molto spazio anche alle industrie che promuovono prodotti biologici e a chilometro zero. Un grande impegno per la sostenibilità e la riduzione delle emissioni di inquinamento. L’atteggiamento dell’Italia può avere ripercussioni positive anche su tutte le economie dei paesi membri, poiché se ogni paese si impegna ad adottare questo tipo di agricoltura ci possono essere certamente dei benefici per l’atmosfera e per il pianeta a livello globale.
Ultimo ma non trascurabile vantaggio di questa scelta è la tutela della biodiversità. Ogni coltura ha diritto di esistere e vede rispettati i suoi tempi e la sua modalità di crescita. Le colture a destinazione industriale sono certamente più sfruttate e più sviluppate, ma non vuol dire che siano le uniche. Ogni tipo di coltivazione si integra perfettamente con le altre e permette una ricchezza unica al mondo.
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