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Ponte Morandi, una tragedia che dopo due anni chiede ancora giustizia

Era il 14 agosto 2018 quando il Ponte Morandi cedette di schianto, trascinando con sé 43 persone. A distanza di due anni, la rabbia e la commozione sono ancora sentimenti che non riescono a marciare separati. Impossibile smettere di pensare a quanto poco sarebbe bastato per evitare un dramma così violento, una ferita profondissima che non ha smesso di sanguinare nemmeno di fronte all’inaugurazione del nuovo viadotto San Giorgio, simbolo di speranza per la Genova che ha urgenza di rialzare la testa. Nel 2018, primo anniversario del crollo, la delegazione di Autostrade per l’Italia fu costretta ad abbandonare la commemorazione nel cantiere sul Polcevera per l’indignazione dei parenti delle vittime. Oggi, quel senso di frustrazione misto a impotenza è ancora lì, intatto. 


Tra i giornali e i social, in due anni si sono alternatiproclami di ogni tipo, con la promessa ribadita più e più volte dagli esponenti del Movimento Cinque Stelle (all’epoca del crollo al governo insieme alla Lega di Salvini, oggi alleati del Pd di Zingaretti) che promettevano ai Benetton la più temuta delle punizioni: la revoca di quelle concessioni-regalo fatte dallo Stato agli imprenditori trevigiani, che nel 1999 aveva acquisito il 30% del gruppo Autostrade dall’Iri e che nel 2003 erano arrivati a controllare la maggioranza delle azioni, con successiva nascita di Autostrade per l’Italia controllata al 100% per cento da Autostrade s.p.a., oggi Atlantia. Pochi anni e, grazie ai pedaggi e all’aumento del traffico, l’investimento era già compensato. Gli impegni presi, invece, venivano puntualmente meno, soprattutto sul fronte sicurezza e manutenzione. Fino a quel 14 agosto 2018 che doveva cambiare tutto e invece non ha ancora cambiato niente.
Troppa la rabbia e l’indignazione per restare con le mani in mano. E così iniziava la battaglia del Movimento: revocare le concessioni ai Benetton e mettere fine a un privilegio del quale gli imprenditori beneficiano ormai da troppo tempo, a scapito dello Stato e dei cittadini. Sembrava cosa fatta o quasi, invece due anni dopo quella parola, “revoca”, non fa ormai quasi più paura. I Benetton hanno resistito all’onda di indignazione popolare che li ha travolti, alternando bastone e carota: mostrandosi ignari delle condizioni delle strade italiane, puntando il dito contro i propri dipendenti, promettendo una nuova gestione e nuovi investimenti. E minacciando, nel frattempo, lo Stato: “Mi togli le concessioni? Preparati a una battaglia legale infinita con in palio un maxi-risarcimento”. Alla fine, la strategia ha pagato.
I responsabili ancora oggi sono lì, in sella. Il governo ha dovuto accontentarsi di un accordo che prevede, sulla carta, la progressiva entrata di Cassa Depositi e Prestiti in Aspi, che diventerà pubblica, con la contemporanea uscita di Atlantia. Tutto bello, tutto ancora fumoso, visto che di ufficiale non c’è niente e i Benetton, ancora una volta, hanno iniziato a rimangiarsi gli impegni presi a parole. Con una beffa ulteriore, insopportabile: il nuovo Ponte sorto sulle macerie del Morandi è andato in gestione proprio a quegli imprenditori che hanno sulla coscienza 43 vittime, schiacciate dall’incuria nelle quali le nostre autostrade versano ancora oggi. I parenti, disperati, rifiutano le cerimonie pubbliche e chiedono giustizia. In due anni, purtroppo, non ne hanno ottenuto ancora nemmeno qualche briciola.

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