La curva dei contagi continua a salire, e la paura dell’arrivo di nuove restrizioni è sempre più in agguato. L’ultimo Dpcm ha portato nuovi limiti per bar e ristoranti, visti come luoghi in cui è più facile diventare positivo al virus. Un recente studio pubblicato a settembre da varie università e istituzioni mediche statunitensi, sembrerebbe proprio confermare il timore del Governo. La ricerca ha analizzato i comportamenti di 154 persone contagiate, mettendoli a confronto con quelli di altrettanti negativi. La conclusione è che, nelle due settimane precedenti all’infezione, i positivi avevano almeno il doppio delle probabilità di aver frequentato un ristorante o un bar. Lo studio non fa distinzioni fra locali al chiuso o all’aperto, ma fa notare che “a differenza di altre attività al chiuso”, il consumo di cibo o bevande “impone di togliere la mascherina”.
In base allo studio, per rischio di esposizione al virus, dopo i ristoranti vengono le cerimonie religiose (fra chi le aveva frequentate, chi era positivo risultava quasi il doppio rispetto ai non contagiati) e le palestre (lì il rapporto era poco più alto di uno e mezzo). Meno rischiose invece le cene a casa con parenti o amici e attività come andare in ufficio, prendere i mezzi pubblici e fare la spesa.
Dalla pubblicazione di questo studio americano l’allarme sui locali non è passato inosservato. La città di New York ha adottato la tecnica delle riaperture localizzate, di quartiere in quartiere i locali possono essere aperti o chiusi a seconda di quanto circola il virus. Nello stato del Winsconsin invece, uno dei più colpiti degli USA, si è arrivati alla riduzione del 25% dei posti al chiuso, non senza le rimostranze degli addetti al settore della ristorazione.
In Europa si oscilla tra il coprifuoco serale e le chiusure totali. Per ora in Belgio i locali rimangono chiusi per un mese, e anche l’Olanda ha chiuso tutti i bar, ristoranti e caffetterie del paese.
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