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Conte e il conflitto d’interessi: che pasticciaccio con la Croce Rossa! Ballano 84 milioni

Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo, ha bloccato uno stanziamento di 84 milioni di euro a favore della gestione commissariale della Croce rossa. Quei soldi sospetti sono stati tolti dal decreto fiscale e ora sono in stand by. Solo l’anno scorso, però, lo stesso Conte si era dato da fare per bloccare i pignoramenti avviati dalla Croce Rossa contro un proprio ex dirigente, Aldo Smolizza, condannato per danno erariale.

Una causa che valeva, secondo le analisi, una cifra prossima al milione di euro. Domenica sera però, in preconsiglio dei ministri, quando si è accorto di quell’articolo, il 23, mai letto in precedenza, Conte in versione Sherlock Holmes non si è preoccupato di accennare alla delicatezza della propria posizione e alla doppia partita giocata in pochi mesi. Né ha pensato di astenersi.

No, si è intestato la strenua battaglia contro le fantomatiche manine dei tecnici che dirotterebbero a proprio piacimento i soldi dei contribuenti, ma ha taciuto alla sua maniera sul proprio passato che fa a pugni con il presente. Siamo, insomma, dentro un cortocircuito. È vero che oggi il Conte avvocato di professione è a riposo e questo attenua il contrasto, ma una parola di chiarimento sarebbe stata saggia e pure elegante, visto che ora indossa i panni da presidente del consiglio.

Ci fosse stato al posto suo Renzi, o Berlusconi, apriti cielo! A Conte invece si perdona quel che agli altri veniva censurato. Sorvola lui, sorvolano i media. Cosi domenica sera, il premier legge quelle righe inedite e chiede conto ai presenti. Il testo parla chiaro: si tratta di 84 milioni nell’arco di tre anni destinati al Commissario della Croce rossa Patrizia Ravaioli, moglie del vicedirettore ed editorialista del Corriere della sera, Antonio Polito.

Tutti cadono dalle nuvole, e così Conte stralcia quel capitoletto e sventa il presunto blitz dei tecnocrati, quelli contro cui tuonano un giorno sì e l’altro pure Luigi Di Maio, i 5 Stelle e pure il portavoce di Conte, Rocco Casalino. Poi però esce allo scoperto il capo di gabinetto di Tria, Roberto Garofoli, che rivendica quella disposizione e successivamente Tria conferma con un comunicato: “Quei soldi servono per pagare il tfr ai dipendenti”. Non solo: “L’esigenza era stata condivisa dal ministro della Salute e sottoposta alla valutazione della presidenza del consiglio”.

I 5 Stelle chiedono la testa del capo gabinetto di Tria, Garofoli, mentre è probabile che lui abbia solo rimediato alla smemoratezza del ministro, risolvendo il pasticcio creato nel passaggio della Lorenzin a Giulia Grillo. La correzione, imposta dalla legge, è stata interpretata come una pesante intromissione del temibile partito dei tecnici. Invece anche i sindacati hanno detto: “Quei denari non sono un regalo ma la soluzione individuata dai competenti uffici del Mes per la tutela previdenziale dei lavoratori”.

 

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