Qualche tempo fa ero seduta alla scrivania della mia collega Vittoria in ufficio, facendo pausa e bevendo un caffè. Io stavo raccontando di aver da poco acquistato un paio di scarpe Converse su Amazon e, vista la non disponibilità di un numero inferiore al mio solito che avevo ordinato, il venditore aveva deciso di regalarmele per farsi una buona pubblicità. Dopo alcuni minuti Vittoria accede a Facebook e le appare una pubblicità con le scarpe Converse. “Oddio, è incredibile! Ci ascoltano!”, questa la sua reazione immediata. Io, più razionale e conoscendo un po’ le dinamiche dell’advertising on line, pensai che probabilmente nei giorni passati Vittoria aveva navigato in internet cercando le Converse, e ora semplicemente Facebook gliele proponeva seguendo logiche di remarketing. Vittoria però non indossa le Converse, e non era per niente convinta della mia spiegazione. Qualche giorno dopo il nostro amico Daniele, profondo conoscitore del web, ci racconta una cosa simile. A questo punto mi insospettisco, e faccio qualche ricerca. Ecco i risultati.
Privacy e assistenti virtuali
Siri, Cortana, Alexa, ma anche l’app Google Now, offrono interessanti opzioni di ricerca vocale. Avete mai pensato a dove vanno a finire i dati che inserite? E, soprattutto, se il microfono è sempre attivo, significa che ci ascoltano sempre? Sembra che le aziende registrino solo quello che diciamo dopo il richiamo all’assistente (la formula “Hey, Siri”, per capirci), senza inviare ai server centrali quanto abbiamo detto prima. Considerate anche, però, che i sistemi di intelligenza artificiale si basano sull’autoapprendimento: hanno bisogno cioè di analizzare i nostri dati per poter imparare a soddisfare le nostre richieste.
I dati che inseriamo perciò vengono sicuramente archiviati, ma cosa poi le aziende ne facciano, e quanto tempo li tengano archiviati non è sempre evidente. Sembra che Apple li conservi per due anni, e che i nostri dati possano essere ceduti a terze parti che hanno rapporti con Apple per “alcune attività” (su questo rimandiamo a un ulteriore approfondimento). In ogni caso, nelle privacy policies delle aziende sono indicati i modi per ridurre al minimo la quantità di dati personali presenti sulle piattaforme on line, conviene quindi sempre dargli un’occhiata.
Un’altra cosa che ho scoperto è che c’è una sezione di Google che si chiama My Activity nella quale sono visibili, ed eventualmente cancellabili, tutte le nostre attività su Google e sui circuiti connessi come Youtube, incluse le registrazioni audio proveniente dall’assistente virtuale Google. Sapevo che i dati venivano salvati, ma non che fossero navigabili da noi. Un buon esempio di trasparenza, che però non risolve il problema del livello di privacy che ci viene garantito e di quanto ne siamo consapevoli.
Privacy, app e microfoni
Tornando invece all’episodio delle Converse, se fosse vero come sarebbe potuto avvenire? Significa che le app ci ascoltano? Sappiamo tutti che le app hanno la facoltà (se glielo consentiamo) di accedere ai microfoni dei nostri telefoni. Facebook dichiara di non conservare i dati grezzi raccolti dai microfoni, e di non utilizzarli a scopi commerciali…ma nel dubbio sappiate che l’accesso al microfono si può disabilitare andando nelle Impostazioni – Privacy – Microfono – app di riferimento. Nel caso di Alexa invece, Amazon mette a disposizione degli utenti una pagina specifica nella quale spiega le condizioni di utilizzo di Alexa e come, eventualmente, rimuovere le registrazioni audio.