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Spari in classe, la prof: “La Littizzetto si scusi”

Maria Cristina Finatti vuole le scuse di Luciana Littizzetto. La professoressa di scienze del “Viola Marchesini” di Rovigo, 61 anni, a cui lo scorso 11 ottobre gli alunni quindicenni hanno sparato in classe con una pistola a pallini durante una lezione, ha portato in tribunale tutta la classe e adesso pretende le scuse dalla comica che l’aveva accusata di essere responsabile dell’accaduto. A seguito dell’episodio, lamenta la professoressa, in radio Luciana Littizzetto, che prima di dedicarsi alla tv ha fatto l’insegnante per nove anni, aveva affermato che “se ti sparano in classe non hai proprio una grande empatia con i ragazzi”.
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Ora Finatti vuole le sue scuse. “La professoressa non sembra al momento intenzionata a querelare la Littizzetto, anche per evitare ulteriori polveroni ed esposizione mediatica – dicono i suoi legali -. Quello che gradirebbe sarebbe un messaggio personale di conforto e vicinanza, e di scuse per una frase che l’ha in qualche modo toccata nel profondo, sia come persona che come insegnante”.

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“Una che dice queste cose non la considero neanche – replica la professoressa in prima persona -. Che fa la Littizzetto, ha una parola per tutto? E perché ha lasciato la scuola? Ha trovato di meglio nel mondo dello spettacolo? Io la scuola non la lascerei anche se dovessi trovare di meglio. E poi, mi chiedo, Luciana Littizzetto che cosa fa per i giovani? La verità è che bisogna farli lavorare e io da loro pretendo. Oggi, però, i ragazzi, tutti, non solo quelli che mi hanno fatto del male, mi spaventano”.

I ragazzi, secondo la professoressa, sparano per visibilità. “Cercano i follower, la condivisione sui social. E subito dopo cercano i soldi. Perché non hanno educazione, né un sentimento di riconoscimento del prossimo. Perché non si rendono conto di quello che fanno e io proprio non riesco a perdonarli – aggiunge -. Non vogliono studiare, sono tanto superficiali ‘sti ragazzi. Credono di sapere, ma non hanno un punto di vista sulle cose. Sono difficili da tenere. Se li fai studiare, si ribellano. Se non gli fai fare niente, abbassano la conflittualità. Vorrebbero quello: non fare niente”.

L’insegnante ricorda il momento in cui è stata raggiunta dal proiettile. “Ero seduta alla cattedra, e ho sentito un dolore fortissimo – afferma – Mi sono alzata. Non avevo visto sparare, no. Non avevo visto neppure la pistola giocattolo. Poi ho visto a terra, finalmente, i due pallini. E i ragazzi intorno, tutti, che mi prendevano in giro: ‘Cos’è successo prof?’. Uno di loro ha preso le distanze, l’ho sentito dire ‘che cosa avete fatto? Non dovevate sparare”. Lo hanno insultato e si è messo a sedere”.

L’insegnante è amareggiata soprattutto per quello che è successo dopo. “Sono andata dalla preside, mi ha detto ‘vai a casa’. Così, senza neppure accompagnarmi, farmi accompagnare. Mi sono sentita subito sola. Mi avevano sparato ed ero io il problema, sembrava fosse colpa mia, che avessi fatto male in classe. Non ha neppure chiamato i carabinieri. Avrei dovuto andarci io, coni i pallini in mano. Invece li ho consegnati al vicepreside – racconta -. Sono ripassata in classe a prendere la borsa e ho visto sei ragazzi che stavano trafficando sui cellulari. Ho detto loro: ‘Non mandate via niente”. Volevo salvaguardarli, ma si erano già organizzati con le altre quattro scuole del plesso. Hanno messo tutto su WhatsApp. Il primo video l’avevano già inviato. Non sono andata al pronto soccorso e ho sbagliato. Stavo poco bene, ero confusa”.

Il video dell’insegnante bersaglio degli alunni è finito su Tik Tok più tardi. Ma il clamore è esploso a gennaio. “Senza immagini così plateali ora non saprei come difendermi – aggiunge la donna, che ritiene di essere stata trasformata da vittima in colpevole -. Tre o quattro ragazzi sono stati sospesi, non so, ma con obbligo di frequenza. La preside mi ha tenuto fuori da tutto, non so nulla dell’inchiesta interna. Mi ha tolto tre classi, questo sì, di nove che ne avevo. Ho temuto che me le togliesse tutte e nove. Qualcuno, nei corridoi, mi ha detto che ho fatto bene a denunciare tutti e ventiquattro gli studenti. Nessuna lettera, però, nessuna solidarietà pubblica. Un solo genitore dei ragazzi ha proposto una lettera di scuse, gli altri ventitré l’hanno bocciata. Dei figli a loro interessano solo le valutazioni. Non importa se copiano, basta che portino a casa il buon voto. E i ragazzi copiano, altroché. Molti genitori a casa non ci sono mai. I ragazzi fanno poco, aprono poco il libro. E non si prendono mai una responsabilità: è stato lui, è stato l’altro. Con loro io mi impegno, ho trascorso il primo mese a fare un ripasso delle cose studiate alle medie, facciamo anche un giornalino. Ci credo nella scuola, anche per questo mi ha fatto così male tutta la vicenda”.

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