Conoscono la materia fiscale meglio di chiunque altro, anche quei cavilli che generano a volte dei risparmi non trascurabili. Stiamo parlando dei dottori commercialisti, un esercito di 118 mila professionisti, che di norma si occupano di tenere in ordine i conti dei clienti, che siano i bilanci di società o delle semplici dichiarazioni dei redditi. Una categoria in passato considerata agiata, ma che in realtà è meno ricca e avvantaggiata di quanto si pensi. Matteo De Lise è stato da poco eletto presidente dei Giovani commercialisti italiani. Napoletano, 30 anni, Matteo è uno di quei professionisti che stanno vivendo il cambio epocale di una categoria. “Il reddito annuo medio dei giovani professionisti oggi si aggira intorno ai 15 mila euro lordi l’anno — ha ricordato il professionista fiscale — altro che casta, altro che privilegiati. Abbiamo studiato una vita, superato esami di stati e selezioni di mercato e adesso arriva questa crisi a mettere a rischio tutto quanto”.
Il lockdown infatti ha stravolto anche il mondo dei professionisti, molti dei quali non possono limitarsi a lavorare da remoto. “Molti colleghi — ha proseguito De Lise — sono ancora in piena attività: i curatori fallimentari, gli amministratori giudiziari devono ancora muoversi dagli studi: nelle sentenze di fallimento sono ancora in corso inventari e interrogatori che si svolgono di persona. Lavoriamo più di prima, con maggiori rischi ma non riceviamo pagamenti. Entro il prossimo mese avremo problemi di liquidità perché le aziende che hanno chiuso non pagano”.Esclusi anche dal bonus da 600 euro
In una simile situazioni i professionisti erano pure stati esclusi dal primo bonus di aiuti agli autonomi. “Sì, eravamo stati esclusi — ha ricordato il presidente dei giovani commercialisti — gli unici ad essere esclusi tra tutti i lavoratori autonomi sempre in base al pregiudizio che ci vede come dei ricchi privilegiati. Ma anche dopo, quando siamo stati inclusi siamo stati gli unici sottoposti a una distinzione per reddito”. Il bonus da 600 euro è concesso a i lavoratori che abbiano percepito, nell’anno di imposta 2018, un reddito complessivo non superiore a 35 mila euro. Il compenso è previsto anche per coloro che abbiano percepito un reddito complessivo compreso tra 35 mila e 50 mila euro a patto che possano dimostrare una perdita di reddito nel 2020 di almeno il 33% a causa del coronavirus.“Solo ai professionisti hanno chiesto di dimostrare una perdita che, tra l’altro non è dimostrabile. Per il semplice motivo che gli effetti del coronavirus si sentiranno nel secondo trimestre. Chiunque faccia la libera professione conosce i tempi lunghi dei pagamenti: quello che abbiamo incassato da gennaio a marzo è ciò che abbiamo lavorato alla fine del 2019. Adesso iniziano problemi di reddito e liquidità. Attendiamo uno Stato che sappia ascoltare le nostre difficoltà oltre a chiederci di far fronte ai nostri obblighi”.
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