Un ritornello che torna di moda puntuale di fronte a certe festività, su tutte il 25 aprile, che ricordano agli italiani gli anni drammatici della Seconda Guerra Mondiale e della successiva ricostruzione. E la figura di Benito Mussolini, il dittatore accompagnato ancora oggi, ogni volta che viene rievocato, da un frasario d’ordinanza rimasto immutato. Su tutti, l’immortale “il Duce ha fatto anche cose buone”. Ma cosa c’è di vero dietro questa espressione? La risposta arriva dallo storico Francesco Filippo, che ha da poco lanciato il libro “Mussolini ha fatto anche cose buone” (Bollati Boringhieri, 160 pagg., 12 euro).
Il sottotitolo, “Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”, è più che esplicativo. All’interno, l’analisi punto per punto di tutti i luoghi comuni che accompagnano la figura di Mussolini. La previdenza sociale? Esisteva già, con il primo sistema pensionistico introdotto nel 1895 dal governo Crispi. Un sistema poi esteso dall’esecutivo Pelloux e imposto come obbligatorio in tutte le azienda Vittorio Emanuele Orlando. Con il fascismo, piuttosto, il sistema “si appesantisce e perde di efficienza”. Il cambio del nome dell’istituto (diventato Infps) servì soltanto a impossessarsi di un risultato già raggiunto da altri.
Sul fronte bonifiche, con il miracolo di Littoria “strappata dalle acque”, siamo ancora di fronte a una “grande operazione pubblicitaria”. Con il fascismo ad annunciare in pompa magna di aver restituito all’agricoltura 8 milioni di ettari di terreni riqualificati che in realtà erano, però, 4. Di cui 2, nello specifico, frutto del lavoro dei governi precedenti al 1922. A completare l’opera sarebbero stati invece, i i governi del Dopoguerra, grazie ai fondi del Piano Marshall e della Cassa del Mezzogiorno.
Le case? Il fascismo non adottò certo il motto “le case agli italiani” tanto caro ai nostalgici contemporanei. “Come in altri campi della cosa pubblica, anche nell’edilizia popolare il fascismo si limitò a porre sotto il proprio controllo e ribattezzare strutture amministrative nate nell’Italia liberale”. Con un’emergenza abitativa proseguita anche negli anni più tardi del fascismo. Sul fronte ricchezza, invece, “il divario tra un italiano e un cittadino degli altri Paesi sviluppati si allargò”. Alla faccia del “si stava meglio”.
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