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Ragazzo di 26 anni in carcere per violenza sessuale: ma era un errore di traduzione

Un errore di traduzione ha segnato profondamente la vita di un giovane cinese di 26 anni, accusato ingiustamente di violenza sessuale nei confronti di una sua coetanea. Il giovane ha trascorso un anno e quattro mesi tra carcere e arresti domiciliari, prima di essere completamente assolto grazie all’intervento decisivo dell’avvocato difensore Simona Sardi. È stato infatti dimostrato che l’accusa si basava su un grave fraintendimento dovuto a una traduzione errata delle dichiarazioni rese dalla presunta vittima.

L’errore di traduzione che ha cambiato tutto

La vicenda ha avuto inizio nella notte tra il 23 e il 24 maggio dello scorso anno, durante una lite tra i due protagonisti, caratterizzata da violenti alterchi e schiaffi reciproci. In uno di questi episodi, l’uomo avrebbe afferrato la donna per il collo. Nonostante ciò, subito dopo il litigio, i due hanno avuto un rapporto sessuale. Alcuni amici della ragazza, preoccupati per la situazione tesa, hanno chiamato le forze dell’ordine. Una volta sul posto, la polizia ha notato i segni sul collo della giovane e ha raccolto la sua testimonianza, che è stata tradotta dall’inglese da una conoscente presente al momento dei fatti.

Le accuse basate su una traduzione errata

Il problema è sorto proprio con la traduzione. Secondo quanto riferito dalla traduttrice, la donna avrebbe affermato di essere stata costretta ad avere un rapporto sessuale dopo essere stata presa per il collo. Questa versione ha portato all’arresto immediato del giovane cinese e all’avvio di un processo penale. Tuttavia, la difesa ha da subito sollevato dubbi sulla correttezza della traduzione, ritenendo che le parole originali della ragazza fossero state mal interpretate.

Una nuova perizia linguistica porta alla verità

Nel corso del processo, la donna ha espresso il desiderio di ritirare la denuncia, sostenendo che il rapporto fosse stato consensuale e che la traduzione delle sue parole fosse stata sbagliata. A seguito di una nuova perizia linguistica richiesta dalla difesa, un secondo traduttore ha riascoltato le registrazioni della testimonianza. È emerso che la ragazza aveva effettivamente dichiarato: “All’inizio non volevo perché stavamo litigando, ma poi ho acconsentito”.

La sentenza di assoluzione: un caso di malinteso

Questo nuovo elemento ha radicalmente cambiato il corso del processo. La procura ha richiesto l’assoluzione del giovane, riconoscendo che l’accusa era frutto di un errore di interpretazione. Il tribunale ha quindi stabilito che “il fatto non sussiste”, confermando che la denuncia era basata su una traduzione errata. Nonostante l’assoluzione, la vicenda ha sollevato preoccupazioni sulla gestione delle traduzioni nei procedimenti giudiziari, specialmente in casi delicati come quello appena concluso.

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