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Recovery plan, quello che funziona e quello che non va bene. L’analisi di Fubini

Se qualcuno non avesse ancora chiaro che cosa è e cosa sarà il Recovery Fund,  è bene soffermarsi sull’analisi di Federico Fubini pubblicata sul Corriere della Sera. Fubini mette infatti in luce tutti gli aspetti del Recovery, concentrandosi su cosa funziona e cosa invece non va. Dopo quattro mesi di segreti, è dunque arrivata in Consiglio dei ministri la prima bozza del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” per spendere i 208,6 miliardi del Recovery Plan (qui la spiegazione di che cosa sia). “È un testo chiaroscuro – scrive Fubini – ha qua e là idee promettenti, come un rafforzamento degli incentivi all’innovazione in impresa con Industria 4.0, l’alta velocità ferroviaria al Sud o i dottorati di ricerca in stretto collegamento con le imprese; eppure le pagine del documento restano fitte di punti interrogativi e zone d’ombra”.

Sono soprattutto queste ultime a far capire che resta lunga la strada del governo fino al giorno in cui Bruxelles potrà approvare un programma dell’Italia. Investire o no? Scrive Fubini: “La bozza precisa che la parte di prestiti del cuore del Recovery Plan italiano – 127,6 dei 196 miliardi del ‘Dispositivo di ripresa e resilienza’ – sarà spesa in nuovi progetti aggiuntivi solo per 40 miliardi. Anche il resto dei prestiti verrà usato, ma per finanziare piani preesistenti a costi un po’ più bassi di quelli che il governo sosterrebbe sul mercato. In sostanza la quota netta di investimenti supplementari del Recovery Fund scende da 208,6 miliardi a circa 120. La ragione è evidente: il governo non vuole aggiungere investimenti in più – benché magari utili alla ripresa – per non far salire ancora il debito. Ma è tutto qua? Forse no. Il fatto che il governo rinunci in partenza a 88 miliardi di investimenti supplementari è la spia di un’insicurezza di fondo: qualcuno deve temere che la politica e l’amministrazione italiane non siano in grado, oltre una certa misura, di eseguire nei prossimi anni investimenti validi: quelli con rendimenti positivi, che si ripagano da sé e dunque non creano problemi di sostenibilità del debito”.

Aiuti di Stato? “A pagina 99 della bozza del governo compare un cenno che – c’è da scommetterci – sparirà alla prossima versione. Si parla di ‘personale di società pubbliche in house o partecipate’ che potrebbe entrare nella struttura da costituire sotto la Presidenza del Consiglio per gestire i fondi. Ora, delle due l’una: o le società partecipate dallo Stato si candidano a ricevere i denari del Recovery Fund, oppure a distribuirli. Non possono essere insieme arbitri e giocatori, ma qui si avverte già una tensione con Bruxelles. La Commissione Ue ha fatto sapere che si applicano anche al Recovery Fund le regole sugli aiuti di Stato: i sussidi devono beneficiare i consumatori, non le imprese che li incassano”.

Le riforme? Analizza ancora Fubini: “Queste sono una condizione necessaria e la bozza di piano si apre promettendo – pezzo forte – un profondissimo riassetto della giustizia. Si prospetta persino una riorganizzazione delle Procure e dei meccanismi di selezione per il Consiglio superiore della magistratura. Ma è solo un sunto delle legge-delega che giace dimenticata in parlamento da quasi un anno, con prospettive – al meglio – vaghe e lontane. Assenti invece le riforme concrete necessarie per far avanzare gli obiettivi del Recovery Plan su ambiente, formazione, sostegno ai giovani. Esempi? Niente sui complicatissimi processi autorizzativi per le rinnovabili; niente sui diritti di veto all’interno dei condomini contro le ristrutturazioni con ecobonus; niente di niente sull’alternanza scuola-lavoro; non un’idea su come rafforzare i centri per l’impiego; non un cenno ai vincoli che rendono il 5G costosissimo in Italia”.

Capitolo Sanità: “Il ministro Roberto Speranza lavora a un piano industriale sulla Sanità da 65 miliardi. Il pezzo forte è un rafforzamento della medicina territoriale da 25-30 miliardi. Il Recovery Plan italiano però sulla Sanità ha solo 9 miliardi, di appena quattro per la medicina territoriale. Eppure oggi l’Italia è terza al mondo per numero di morti da Covid per milione di abitanti e per età media della popolazione. Siamo certi che i prestiti sanitari del fondo salvataggi Mes non servano?”.

Fronte scuola: “Per il ‘Potenziamento della didattica e diritto allo studio’ sono previsti ben 10,1 miliardi. Ma per fare cosa? L’impiego di dieci miliardi è spiegato in appena cinque, vaghissime righe: ‘Ridurre le disparità territoriali e di genere’ o ‘rafforzare le competenze digitali del personale scolastico’. Viene da chiedersi se qualcuno non pensi a assunzioni o bonus di massa senza vere selezioni del personale. Quanto agli Istituti tecnici professionali, si parla solo di un loro ‘rilancio’: ma anche qui niente numeri, né strategie.

Infine, i Mega-bonus: “Di certo il grosso delle misure per l’ambiente sono ben 40 miliardi per ristrutturazioni ecologiche di immobili pubblici e privati. Dunque una grande espansione dell’ecobonus al 110%, considerato da alcuni troppo generoso e socialmente ingiusto (beneficia chi ha maggiori patrimoni immobiliari) . Né è chiaro come tutto ciò possa portare alle previsioni di crescita inserite nel piano: per il Sud, tra il 4% e il 5% in più all’anno”.

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