Sul balcone i 5 Stelle esultavano, a Piazza Affari le borse chiudono in rosso e lo spread vola più in alto del Monte Bianco. Però, alla fine, il reddito di cittadinanza si farà. Sì, ma come? I numeri parlano. E dicono che grazie ai 10 miliardi destinati a reddito e pensione di cittadinanza si raggiungono circa 2 milioni e mezzo di italiani con un assegno da 780 euro. Il più al d’Europa ma anche quello destinato al numero più basso d’Europa di persone. Ovvero poco più di un terzo, il 38% circa, dei 6 milioni e mezzo di cittadini destinati ad uscire per sempre dalla povertà, come dichiarato dal vicepremier Luigi Di Maio giovedì notte, pochi istanti dopo l’approvazione della nota al Def, il Documento di economia e finanza.
Se i soldi andassero a tutti i 6,5 milioni di italiani citati da Di Maio, avrebbero un bonus di appena 128 euro. Portata l’asticella del deficit al 2,4%, per il reddito di cittadinanza si dovrebbero liberare più risorse. Il ministro Luigi Di Maio ha indicato, al termine del Cdm che ha esaminato i nuovi tendenziali di finanza pubblica in vista della legge di Bilancio, la cifra di 10 miliardi di euro a disposizione per la misura, sottolineando come l’intervento possa rappresentare un aiuto per oltre 6 milioni di italiani in condizione di povertà. L’ha detto lui, mica noi. Però, facendo due calcoli ecco che, ripetiamo, se andasse a 6,5 milioni di italiani, questi intascherebbero 128 euro e non 780.
Lo strumento, secondo le ipotesi tecniche circolate nei giorni scorsi, dovrebbe funzionare così: 780 euro mensili per tre anni, ma prorogabili. Ci sarebbero quattro requisiti: vale a dire, ricerca attiva del lavoro, completamento dei percorsi di formazione, involontarietà della disoccupazione, e reddito familiare. La misura si perde se si rifiutano tre proposte di impiego “congrue”. Resta da capire come si relazionerà con la Naspi, l’attuale assegno di disoccupazione per chi perde un impiego.
La soglia dei 780 euro mensili, indicata più volte dai “grillini” è calcolata per un single. Ci si arriverebbe con un meccanismo ad integrazione; per i pensionati si è calcolato che sarebbero da aggiungere in media circa 300 euro (alla pensione minima o a quella sociale), per un disoccupato o un lavoratore “povero”, percettori già di una forma minimale di reddito, si stima che serviranno altri 480 euro medi mensili (per raggiungere la cifra di 780 euro).
Qualora, invece, il disoccupato non dovesse risultare percettore di alcun reddito, avendone comunque i requisiti, avrebbe diritto all’intero assegno di 780 euro. L’ammontare della prestazione verrebbe rideterminato tenendo conto delle economie che si manifestano all’aumento dei componenti del nucleo familiare. In questi casi, la prestazione verrebbe rideterminata tramite l’utilizzo di una scala di equivalenza. Oggi, con il Rei, il Reddito di inclusione introdotto dai governi Renzi-Gentiloni, le soglie sono due: un Isee non superiore a poco più di 6mila euro e 20mila euro di patrimonio, esclusa la prima casa.
Secondo la proposta pentastellata, la presa in carico dei percettori di reddito di cittadinanza sarebbero appannaggio dei centri per l’impiego. Di qui, la proposta, correlata, di intervenire anche sui Cpi (si ragione di una dote di 1,5 miliardi iniziali) per migliorarli (oggi le performance dei centri per l’impiego sono del tutto insoddisfacenti in larghissima parte del Paese). Tra i requisiti peserà molto anche il possesso della casa.
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