Perché cercarsi un lavoro stabile, o comunque regolarizzarlo secondo i termini di legge, se col reddito di cittadinanza si viene pagati per non fare niente? Il quesito rende una visione forse troppo semplicistica del sussidio assistenziale caro al Movimento 5 stelle, ma se si analizzano i recenti dati in merito agli ammortizzatori sociali ricevuti dagli italiani con Job Act e legge Fornero, elaborati da Bankitalia, il dato che emerge dimostra chiaramente la crescita dei “disoccupati inattivi”. Categoria destinata ad allargarsi con il reddito di cittadinanza.
I provvedimenti governativi del 2012 e del 2015 hanno allargato la platea dei fruitori dei sussidi di disoccupazione, con l’intento di contrastarne l’eterogeneità interna e i possibili abusi, secondo lo studio effettuato dalla Divisione Struttura economica e Mercato del lavoro di Bankitalia. Ma hanno anche previsto una copertura meno ampia in funzione dell’aumento del periodo di fruizione, proprio per incentivare i percettori del sussidio a alla ricerca di un impiego. L’effetto ottenuto, però, è stato esattamente quello contrario: secondo Bankitalia è alto il dato di inattività dei percettori, non disponibili a cercare un’occupazione stabile o comunque a dichiararla, col proliferare di lavoro nero.
Di media, una persona su sette che riceve l’indennità di disoccupazione o mobilità non è attivo sul mercato del lavoro: nel 2016 il tasso di inattività tra i percettori era pari al 14,3%, e il passaggio a ASpI e NASpI ha sostanzialmente lasciato il dato invariato. Nessun miglioramento. La quota di occupati sul totale di coloro che ricevono indennità di disoccupazione e mobilità, poi, fino al 2008 era pari al 40%, ma la diminuzione negli ultimi anni è stata vertiginosa e attualmente si attesta sul 10%. Qui il peggioramento del dato parla chiaro. Con queste premesse, anche se ancora oggi resta sconosciuto l’importo per gli interventi a sostegno dei cittadini meno abbienti previsti nella nota integrativa al DEF appena approvata dal Governo, il reddito di cittadinanza si avvia certamente a non rappresentare un rimedio efficace per incentivare il lavoro.