Inutile farsi illusioni: con lo stato attuale dei centri per l’impiego italiani, che contano poco meno di 8mila unità di personale in tutto lo Stivale, sarà praticamente impossibile completare in tempi utili le pratiche per ottenere il reddito di cittadinanza. E il milione di euro stanziato dal Governo per il potenziamento delle strutture, controllate dall’Anpal ma facenti capo alle Regioni, non sarà sufficiente per far fronte allo tsunami di domande che arriveranno per avere accesso al sussidio assistenzialista voluto da Di Maio. Non solo.
Non saranno solo gli investimenti il problema: a remare contro la procedura indicata dai gialloverdi per l’iter delle istanze c’è soprattutto il fattore tempo. Sarà impossibile, infatti, partire entro l’inizio del 2019: gli uffici non saranno pronti almeno prima di cinque o sei mesi. Questo, e tanto altro, hanno detto a chiare lettere al ministro Di Maio i rappresentanti delle Regioni convocati a Roma al Mise.
Niente nulla osta, dunque, per Giggino: gli enti regionali non si sono lasciati convincere dall’ottimismo con cui il vice premier pentastellato ha illustrato i dettami del reddito di cittadinanza (ma il testo della legge ancora non c’è) e la riforma dei Cpi. Quest’ultima, tra le altre cose, oltre all’inserimento di nuove unità di personale (per andare a regime ne servirebbero almeno il doppio delle attuali 8mila), prevede l’utilizzo di un nuovo software e l’incrocio di banche dati che renderà immediato l’accesso alle informazioni sui destinatari dei sussidi. Progetto interessante e ambizioso ma nella pratica difficile da attuare in tempi stretti, anche perché i meccanismi non sono chiari. La strada del dialogo tra il Governo e le Regioni sulle procedure per l’erogazione del reddito di cittadinanza è tutta in salita.
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