Mentre tutti fanno proclami (Di Maio e Salvini) per tenere buoni gli elettori che stanno ormai capendo che tutte le promesse della campagna elettorale sono irrealizzabili, il ministro dell’Economia Giovanni Tria rilancia la necessità di intervenire con l’accetta. “La flat tax? Va finanziata con un riordino profondo delle tax expenditure”, cioè le deduzioni, detrazioni, esenzioni e regimi speciali che quest’anno costeranno alle casse pubbliche oltre 75 miliardi. Al netto dei contrasti degli ultimi giorni, il titolare del Tesoro incassarà comunque il consenso di Movimento 5 Stelle e Lega: per forza, come si sapeva già da prima del 4 marzo, i margini sono veramente risicati e quelle superproposte non hanno coperture. Si va quindi verso una proposta del genere: Luigi Di Maio a gennaio aveva individuato proprio nel taglio delle agevolazioni fiscali la principale fonte di coperture per il programma M5s, quantificando in 40 miliardi le risorse recuperabili… Da noi. Nel contratto di governo è poi stata inserita nero su bianco la “revisione del sistema delle deduzioni e detrazioni”. Un sistema che negli anni è arrivato a comprendere 636 voci.
Il rapporto elaborato dalla Commissione sulle spese fiscali presso la presidenza del consiglio ha individuato 466 spese fiscali erariali e 170 locali per un totale di 75,2 miliardi di minori introiti per lo Stato. Solo tra 1 gennaio 2016 e 30 giugno 2017 (governi Renzi e Gentiloni) ne sono state introdotte 44, dalla detassazione dei premi di produttività al superammortamento alla cedolare secca sugli affitti, per 4,8 miliardi di minori entrate. Ma il vero nodo riguarda la ripartizione dei vantaggi.
Va da sé che tagliare quegli sgravi è improponibile, come dimostrato dalle levate di scudi di fronte all’ipotesi di eliminare gli 80 euro renziani. Quei 16 miliardi vanno quindi lasciati fuori dal riordino. Altrettanto impopolare sarebbe toccare l‘esonero delle prime case dalla Tasi, che costa 3,5 miliardi, o la detrazione per le spese di istruzione (450 milioni l’anno). Nel lungo catalogo delle agevolazioni ci sono però anche incentivi e bonus che avvantaggiano comparti non esattamente bisognosi di sostegno pubblico. Basti pensare all’autotrasporto.
Nel catalogo ci sono, tra il resto, l’esenzione dall’accisa sui prodotti energetici impiegati come carburanti per la navigazione aerea, che costa ben 1,5 miliardi l’anno, l’aliquota ridotta sui prodotti energetici usati nei lavori agricoli e nell’allevamento (830 milioni l’anno) e l’accisa agevolata sul gasolio. Di quest’ultima beneficiano tutti gli automobilisti, per cui ritoccarla all’insù sarebbe politicamente rischioso. Ma costa la bellezza di 4,9 miliardi l’anno e il ministero dell’Ambiente ha fatto notare che “comporta notevoli distorsioni, andando a incentivare l’utilizzo di un carburante rispetto al quale la normativa comunitaria sui limiti alle emissioni ha storicamente richiesto limiti più elevati rispetto a quelli per i veicoli a benzina”.
L’Ufficio di valutazione di impatto del Senato sottolinea anche che nove agevolazioni garantiscono vantaggi pro capite superiori a 60mila euro a pochissimi soggetti. Per esempio la tassazione ridotta sugli “apporti ai fondi immobiliari chiusi”: tra crediti di imposta e forfait, i favori agli armatori costano 276 milioni l’anno. Più di sette volte la cifra (34 milioni l’anno) stanziata per la deduzione delle donazioni a ong e onlus. Tutta da valutare, poi, la necessità di mantenere in campo incentivi come il bonus mobili e grandi elettrodomestici per chi ristruttura casa, e del “bonus verde” per rinnovare giardini e terrazzi.