Nelle intenzioni di Matteo Salvini, quella di sabato 19 ottobre doveva essere l’occasione per ritrovare l’unità perduta nel centrodestra. Nei fatti, San Giovanni si è trasformata nella piazza della discordia e delle crepe, ormai evidenti, di Forza Italia. Berlusconi ha aderito, tanti altri no. Subendo l’ira funesta del Cav che, a poche ore dell’evento, ha sbottato: “Chi vuole andarsene lo dica chiaro e tondo”. A tenere banco, però, c’è anche il caso Tajani, con il Partito Popolare su tutte le furie per quel sì all’adunata salviniana.
La carriera politica di Tajani a Bruxelles è d’altronde nota. E lunga, lunghissima. Tra i 10 vicepresidenti del Ppe fin dal 2002, membro della commissione Barrosso, vicepresidente del Parlamento Europeo in quota FI nel 2014 e presidente nel 2017, ruolo nel quale gli è dato poco succeduto Sassoli. Un curriculum di tutto rispetto che stona, e non potrebbe essere altrimenti, con quell’improvvisa scelta di campo, l’adesione a una piazza sovranista che fa dell’antieuropeismo, da sempre, una delle sue bandiere.
Salvini, nonostante i tentativi di trasformarsi di tanto in tanto in finto moderato, è quello delle felpe No Euro, conosciuto ancora in mezzo mondo come leader di un “
anti european party”, un partito anti-europeo. L’immagine di una Forza Italia costretta a piegarsi alle urla sue e di Giorgia Meloni, chinando il capo per paura di perdere definitivamente il treno del consenso elettorale, non è piaciuta fuori dai confini. La presenza di Tajani ancora meno.L’esponente di Forza Italia aveva cercato di mantenere una posizione intermedia nelle ore precedenti l’evento, al quale ha partecipato. Confermando la sua adesione “Siamo tre forze diverse che partecipano a una coalizione che si candida a governare la regione Umbria. Essere una coalizione non significa essere uguali. Noi siamo l’anima garantista, non vogliamo risolvere i problemi con le manette e la galera. Io in piazza ci sarò, anche se non abbiamo niente a vedere con la destra estrema. Partecipo ad un evento perché non mi piace questa manovra”.Un tentativo di sminuire il peso della discesa tra gli slogan e la rabbia della piazza sovranista. Non sufficiente a placare gli animi, inferociti, del Ppe, imbufalito nel vedere Tajani a San Giovanni con tanta leggerezza. Ricorso subito al telefono per mostrare tutto il suo disappunto nei confronti del comportamento dell’ex presidente del Parlamento Ue. E pronto a ricordare come, fuori dai confini italiani, esista una destra moderata che non accetta compromessi con gli estremisti, ai quali oppone tutta la sua diversità come un monolite impossibile da sbriciolare.
Lo insegna la storia tedesca: Angela Merkel nel recente passato ha fatto salti mortali per evitare di farsi imporre l’agenda dagli estremisti, considerandolo il rischio più grosso per la sua legislatura. Senza farsi problemi nel guardare, di volta in volta, ai socialdemocratici, ai verdi, ai liberali. Tutto pur di non piegarsi alle piazze urlanti, riempite da chi cavalca la rabbia dei cittadini senza offrire loro soluzioni concrete. Un atteggiamento responsabile, maturo. Di una destra vera, consapevole. Quella che manca, ancora, nell’Italia dove Berlusconi e Tajani sfilano con Salvini.
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