L’Italia, rispetto agli Usa e in generale al mondo anglosassone, ha sempre avuto un approccio molto più prudente sul tema dei bonus aziendali e degli incentivi, anche negli stessi servizi finanziari. Sui bonus c’è piuttosto una riflessione morale e organizzativa”. Riflessione incentrata soprattutto sull’opportunità di avere obiettivi troppo di breve termine, che rischiano di produrre disfunzioni, e sulla necessità di legare gli obiettivi individuali a indicatori che riguardano non solo il profitto immediato ma anche la stabilità. Questo ha quindi condotto allo sdoganamento di alcune clausole ed ha certamente reso il tema ancor più sensibile.
Esistono infatti le clausole di claw-back, sono particolari clausole contrattuali che prevedono la possibilità di esigere la restituzione – totale o parziale – della parte variabile del compenso di un manager, dirigente o, in alcuni rari casi, impiegati. In buona sostanza, queste clausole permettono di richiedere una restituzione del denaro elargito come premio di produttività o di altri tipi di benefit economici, solo se sussiste una giusta causa: la restituzione potrà essere richiesta a fronte di colpa grave, come ad esempio dopo un danno diretto al patrimonio aziendale.
Leggi anche:Tanti bonus e agevolazioni con la nuova legge di bilancio 2018
Con questo strumento l’azienda può quindi rientrare in possesso di somme già erogate, a fronte di valutazioni negative – ex post – delle performance aziendali o individuali.
Queste particolari clausole sono una novità nel panorama del diritto contrattuale italiano. La loro introduzione si è resa necessaria dopo le numerose crisi bancarie degli ultimi anni: l’uso delle clausole di claw-back è diretto ad impedire che le retribuzioni elargite sotto forma di premio siano eccessivamente sproporzionate rispetto all’effettivo contributo del lavoratore in azienda e garantiscono, nel contempo, che le retribuzioni premio siano effettivamente sostenibili all’interno del bilancio aziendale. Essenzialmente, il claw-back è un sistema di malus che va a controbilanciare i bonus aziendali, eliminandoli là dove non risultino meritati.
Leggi anche: Jobs Act, la svolta di Poletti: c’è il rinnovo degli incentivi?
Questo tipo di clausola è stata inventata e coltivata dal mondo finanziario anglosassone, ma è correntemente utilizzata anche per i contratti manageriali in altri settori. Le clausole di claw-back sono state introdotte anche in Italia a seguito di altre norme mirate a consolidare il patrimonio delle varie banche italiane, riducendone le spese: questo tipo di clausola attira il plauso dell’opinione pubblica, in quanto strettamente legata al concetto di meritocrazia. Pressoché sconosciute in Italia, si rilevano – ad oggi – solo casi sporadici di applicazione di tali clausole.
Da noi, tuttavia, qualcuno mette le mani avanti e ipotizza che possa succedere che a vedersi tagliati i bonus saranno i banker del mid-management, mentre i super-manager delle banche italiane saranno risparmiati. La vera svolta, nel mondo finanziario, sarebbe proprio quella di legare gli incentivi (bonus) ai risultati di medio lungo periodo…perché se si guadagna in base a quanto si ha prodotto al prossimo 31/12, è chiaro che si lavorerà sempre e solo in un’ottica di risultato nel breve e non di sostenibilità di tali risultati…questo vale sempre di più quanto più si sale nella scala gerarchica delle banche.
Leggi anche: Top 5 milionari: la lista dei cinque top manager dell’anno e i rispettivi guadagni