La legge sul salario minimo non basta a coprire l’emergenza del lavoro povero. L’inchiesta della Stampa e tutto quello che c’è da sapere. Al vaglio del quotidiano il dossier del Cnel, il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro. L’organo rivela che circa 60 mila lavoratori italiani sono interessati dall’attuazione del salario minimo. Su una platea che affonda nel lavoro povero di circa 387 mila lavoratori. Questo fenomeno coinvolge complessivamente il 3% degli stipendiati nel Paese. Le categorie lavorative colpite da questa situazione sono quelle coinvolte in occupazioni come le pulizie, la vigilanza e l’assistenza agli anziani.
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Perché la legge sul salario minimo non salva dall’emergenza del lavoro povero
Ecco perché la legge sul salario minimo non salva dall’emergenza del lavoro povero. Il racconto della Stampa sullo studio del Cnel. Da un lato vi sono circa 14 milioni di lavoratori che hanno sottoscritto contratti approvati dai sindacati, mentre dall’altro vi sono i cosiddetti “contratti pirata”, che coinvolgono circa 387 mila lavoratori. Tra questi ultimi, le categorie che risentono maggiormente della situazione sono quelle menzionate, secondo quanto riferito dall’ente guidato da Renato Brunetta.
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In gran parte dei casi, i salari minimi stabiliti contrattualmente superano il limite indicato nelle proposte di legge relative al salario minimo, ovvero tra 7 e 9 euro l’ora. D’altra parte, i contratti pirata rappresentano una significativa proporzione, con 272 diverse tipologie in totale, interessando 387 mila lavoratori. All’interno di questo gruppo vi sono anche gli addetti alla vigilanza. Ad esempio, si fa riferimento al caso di Mondialpol, su cui l’autorità giudiziaria è intervenuta a causa del pagamento di cinque euro all’ora ai custodi. Inoltre, a Como, si è parlato di minacce ai lavoratori. Anche Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, sostiene che il salario minimo dovrebbe essere fissato a 9 euro l’ora. Secondo le stime del Cnel, i lavoratori coinvolti sono 60 mila, sebbene alcuni esperti stimino il numero a 90 mila.
Agricoltura e assistenza familiare, i settori abbandonati dal governo
Vi sono poi i settori dell’agricoltura e delle collaboratrici familiari. Il governo non ha intenzione di intervenire su questi settori, poiché un’eventuale interferenza legislativa potrebbe scatenare rivolte. L’agricoltura rappresenta un caso particolare, poiché il Cnel non è in grado di quantificare con precisione il numero di lavoratori con contratti regolari in questo settore. La memoria di luglio spiega che una soluzione adeguata per tali lavoratori non può essere la fissazione di un salario minimo, a causa della presenza di 5 milioni di lavoratori autonomi e 3 milioni di precari. Tra questi rientrano stagionali nel settore turistico, partite Iva fittizie, tirocini e stage non regolamentati, oltre ad artigiani, cooperative e donne costrette al lavoro a tempo parziale. Per questa categoria di lavoratori, l’esecutivo sta considerando soluzioni alternative. Le autorità stanno ponderando l’espansione dei contratti aziendali, la riduzione degli oneri fiscali sulle buste paga, la detassazione di premi e tredicesime. Inoltre, si sta valutando l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, che potrebbero offrire sostegno durante i periodi di interruzione dell’attività lavorativa.
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