Salvini è il grande assente: al parlamento e al ministero non ci sta mai, lo dicono i dati. Analizzando date e luoghi sembra proprio che dal giorno del suo insediamento fino a fine febbraio 2019, il vicepremier sia stato presente al Viminale sì e no una decina di giorni al mese (a luglio e ottobre), calando fino a cinque in dicembre e in agosto. Quanto al parlamento, il sito openpolis.it, che compie un meritorio monitoraggio quotidiano sull’attività di deputati e senatori, dice che ci va ancor meno. Alla voce Salvini Matteo, le presenze alle votazioni in aula (57 su 3286) sono ridotte all’1,73%.
Produttività? In 9 mesi di governo ha promosso come primo firmatario 2 leggi (il Decreto Sicurezza e la cessione unità navali alla Libia), ha risposto a 4 question time, fatto una comunicazione al Parlamento ed è intervenuto in tre commissioni. E il resto? Uno sproposito di missioni: 97,75%. In missione per conto dello Stato, ma soprattutto in missione per conto del personale diletto, come al Festival del Cinema di Venezia (con l’allora First lady Elisa Isoardi) o in occasione del viaggio del 16 luglio a Mosca dove ne approfittò per vedersi la finale della Coppa del mondo (ovviamente senza l’invito Fifa).
Proprio la scelta di apparire dappertutto, tuttavia, fa notare di più alcune assenze “di competenza”, diciamo così, del ministro dell’Interno. Ma sia chiaro: mischiare un impegno pubblico e uno di partito o privato è un’abitudine antica. Lo hanno sempre fatto tutti i politici di vertice. Roberto Maroni, che fu sia ministro degli Interni sia segretario leghista, lo spiegò due giorni dopo l’ascesa dell’amico Matteo al Viminale: “Fare il Ministro dell’Interno nel modo giusto vuol dire stare in ufficio dalle 9 del mattino alle 21 di sera”.
L’ultimo ministro Marco Minniti che, quando non era a trattare con le tribù libiche gli accordi che ridussero i flussi migratori dalla Libia, era sempre in ufficio. C’è da aggiungere che Salvini è anche vicepremier, e lo rivendica tutti i giorni. Occupandosi di tutto o quasi, dagli esteri al welfare, dal turismo al pecorino sardo, fino a sollevare la stizza di qualche collega, come Giulia Grillo sui vaccini.
Occuparsi dei problemi vuol dire però approfondire, leggere i dossier, chiedere integrazioni, impadronirsi dei diversi temi. Studiare, studiare, studiare. Con tutto il rispetto, è difficile leggere atti, fare riunioni, coordinare settori delicati schizzando dal Palio di Siena alla Fiera equina a Verona, dall’Autoworld (museo dell’auto a Bruxelles) al bagno nella piscina dell’azienda agricola confiscata alla mafia, dalla donazione del sangue a Milano alla processione di Santa Rosa a Viterbo, ai tour elettorali infestati di appuntamenti.
C’è poi da stupirsi se, travolto da mille impegni, il ministro degli Interni non è mai riuscito ad andare in luoghi simbolo del degrado, dello spaccio e del dolore come il bosco di Rogoredo a Milano? Va da sé che il vero ministro degli Interni si chiama sì Matteo, ma di cognome fa Piantedosi. Il capogabinetto che gli stessi oppositori definiscono un fuoriclasse…
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