“Mi dicono che qui si spaccia”. Salvini al citofono è diventato – giustamente – un caso nazionale, sociale, politico e ora anche giuridico. Sì, perché non sono poche le norme che ha violato con questo bruttissimo gesto. La tutela della legalità passa per il rispetto delle regole. E allora Il Sole 24 Ore ha chiesto a Vincenzo Muscatiello, docente di diritto penale all’Università di Bari, quali siano state le principali violazioni compiute dal leader della Lega Matteo Salvini andando a citofonare ad un ragazzo tunisino, davanti alle telecamere, per chiedergli se era uno spacciatore. Salvini ha sostanzialmente travolto i nostri principi di civiltà giuridica.
Si legge sul Sole: “Nel diritto penale dei tweet, chiedere ad un bugiardo se sia davvero bugiardo restituisce una risposta che non è mai quella vera: entrambi, chi mente e chi non mente risponderanno nello stesso modo, il che testimonia l’inutilità della domanda, più che della risposta – sottolinea Muscatiello – il gesto è così paradossale che conviene persino augurarsi che quel ragazzo sia davvero uno spacciatore, perché ormai la citofonata rende inutile la verità”.
Per il ragazzo oggetto dell’attenzione di Salvini, non sarà semplice riabilitarsi agli occhi dell’opinione pubblica: “Nella lettura collettiva, nella accusa via citofono, il ragazzo – continua il professor Muscatiello – è senza dubbio uno spacciatore e a questo punto non c’è modo di dimostrare il contrario. Il ragazzo di certo non può citofonare a un giudice per affermare la sua innocenza; né andare spontaneamente a processo per soddisfare la pulsioni giustizialiste di cui il citofono si è reso interprete”.
Per Muscatiello poco importa andare alla ricerca di un reato che aiuti a inquadrare giuridicamente la ‘citofonata. “Nel fare il toto reati, spaziando dalla diffamazione alla violazione della privacy fino alla calunnia, si finisce per cadere nella stessa superficialità contenuta nel gesto esaminato, nella stessa bizzarria – dice Muscatiello – il sistema giuridico alla base della ricerca dei reati presuppone regole e procedure serie e ponderate. Quello che colpisce è l’inutilità giuridica di un gesto che nella ‘costruzione del nemico’, contiene l’indifferenza al vero e al giusto, e soprattutto l’idea, spesse volte ripetuta, che la sanzione mediatica debba abitare forme sbrigative e superficiali, aperte al pregiudizio, chiuse alle prove contrarie”.
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