Gli onori del premier senza oneri. Un ruolo inedito, quello che sta cercando di ritagliarsi Matteo Salvini in queste ore. Galvanizzato dai risultati della Lega alle elezioni europee, il numero uno del Carroccio ragiona (e agisce) ormai da padrone assoluto del governo gialloverde, i Cinque Stelle relegati ormai a un ruolo di totale subalternità. Sulla carta, un’alleanza che prosegue senza crepe. Nella pratica, il Capitano si impone giorno dopo giorno come il vertice ultimo, l’uomo che ha veramente in mano le redini.
Edoardo Rixi, sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti finito nell’occhio del ciclone, annuncia le sue dimissioni. Consegnandole, si badi bene, non al premier Conte, come logica vorrebbe, ma a Salvini. Lo stesso che poi annuncia, per iniziativa personalissima, di voler nominare Rixi “responsabile nazionale trasporti e infrastrutture della Lega”, infischiandosene di qualsiasi questione morale di fronte a un personaggio reduce da una condanna in primo grado.
E ancora. Salvini se la prende col giudice Luciana Breggia, rea di aver criticato la politica dei porti chiusi voluti dal vicepremier, e la invita ad “applicare le norme invece che interpretarle”. Dimenticando che, di fatto, la sua decisione di bloccare gli sbarchi non è certo una norma da far rispettare nelle opportune sedi legali. Dichiara, poi, di “non voler nominare più nemmeno mezzo sottosegretario”. Facoltà che, in realtà, non spetterebbe però a lui quanto al Presidente della Repubblica.
Rassicura tutti sulla bontà della manovra economica alla quale i gialloverdi inizieranno a lavorare da settembre, appropriandosi delle competenze di Tria. Insomma, un Salvini tuttofare, pronto a calarsi a turno nei panni di ogni esponente del governo. Senza però assumersi anche le responsabilità del caso. Perché, ad esempio, quando si tuffa nel mondo dell’economia dispensa proclami senza chiarire come evitare l’aumento dell’Iva o dove trovare i fondi per la sbandierata flat tax.
Insiste sulla strategia del contrasto all’immigrazione clandestina, ma di accordi per favorire i rimpatri nei Paesi di origine non c’è ancora traccia. Dismette i panni di un ministero per passare all’altro con la stessa rapidità con cui cambia le divise a ogni uscita in pubblico. Senza però affrontare mai realmente i problemi. La costante campagna elettorale dell’ormai auto-acclamatosi “superministro”. Che gioca, a quanto pare, con regole tutte sue.
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