Matteo Salvini ha deciso di passare all’attacco, dopo tanti mesi trascorsi nei panni del leader di un’opposizione irresponsabile, caciarona, talmente disperata nella ricerca di un consenso che sembrava erodersi giorno dopo giorno da ricorrere costantemente all’arma delle fake news pur di alzare un po’ il tiro. Ora il leader della Lega invoca le urne, tornando su una vecchia retorica, quella di un esecutivo in carica inadatto alle sfide dei tempi e ormai odiato dagli stessi cittadini.
“Dopo Conte ci sono solo gli italiani, il loro voto per un governo stabile, che duri cinque anni. Niente minestroni, sostegni esterni più o meno camuffati. Dobbiamo essere trasparenti, e dire che questa maggioranza non è in grado di affrontare il rilancio dell’economia. Auspico l’election day: a settembre o a ottobre voteremo per Comuni e Regioni ed è opportuno che si voti pure per rinnovare il Parlamento” è il punto del Capitano, messo nero su bianco in un’intervista concessa a La Stampa.
Seguendo rituali ormai ben definiti, Salvini tenta poi di gettarsi in testa una spolverata di responsabilità: “Noi abbiamo tentato di collaborare con il governo. Lo abbiamo inondato di proposte. Ascolto da parte del governo: zero. Mi sembra chiaro che ignorino le stesse richieste del presidente Mattarella. Continueremo a fare proposte, consapevoli che Conte, Pd e 5 stelle se ne fregano delle preoccupazioni di imprenditori, professionisti e artigiani. I prestiti da restituire in 6 anni sono inutili e dei 400 miliardi ipotizzati solo 25 sono stati richiesti”.
Quel Salvini che era al governo fino a qualche mese fa insieme ai Cinque Stelle, fuggito poi all’opposizione per non doversi far carico del peso di una manovra finanziaria che avrebbe inevitabilmente scontentato qualcuno, ora torna dunque a puntare verso Palazzo Chigi. Ricorrendo a una retorica collaudata, quella del leader pronto a scalzare gli avversari ma al quale una qualche forza misteriosa impedisce di ottenere, tramite il voto, il meritato successo. E chissà se magari, in giro per l’Italia, c’è chi riesce anche a credergli ancora.
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