Tra Matteo Salvini e l’anima governativa del grillismo, quella capeggiata da Giggino Di Maio, c’è un nuovo rapporto. Oggi alla Camera ci sarà la votazione sulla mozione fortissimamente voluta dalle opposizioni sulla Tav. I gialloverdi hanno trovato già un accordo per una mozione che rinvia al contratto di governo, il quale rinvia ad un’analisi costi-benefici che, corredata da relazioni e contro-relazioni, rimbalzerà ancora per un po’ di tempo da un ministero all’altro, passando per Palazzo Chigi. Il risultato sarà quello preferito dai democristiani di un tempo: il rinvio appunto.
“Ci sarà una mozione di maggioranza – confida Luca Carabetta, vicepresidente grillino della commissione Attività produttive di Montecitorio – e dirà solo che sarà il governo a decidere. Una soluzione di sapore dc? Ma io sono sempre stato democristiano”.
Più o meno il discorso che fa, nel gergo più brutale dei leghisti, il presidente dei deputati del Carroccio, Maurizio Molinari: “Rinviamo il tutto a dopo le elezioni europee e le regionali del Piemonte”. Così appare sempre più chiaro come il “no” dei filo-governativi 5Stelle al processo a Salvini sulla Diciotti abbia ancor più cementato l’alleanza di governo: con il “rinvio”, il leader della Lega paga la prima cambiale al suo salvatore, Di Maio. Sarà per il rapporto di amorosi sensi tra Salvini e Di Maio, per le difficoltà dei 5 stelle, per una situazione economica sempre più complessa che spinge la maggioranza a stringere i ranghi, ma è sempre più difficile distinguere i grillini di governo dai leghisti di stretta osservanza salviniana.
Si muovono all’unisono dove è possibile, dove è impossibile rinviano e dove debbono dividersi privilegiano le ragioni dell’alleanza addirittura all’unità del Movimento. Se nella Lega, infatti, l’unità è garantita dal “culto del capo”, nel Movimento 5 stelle, versione Giggino Di Maio, il valore principale è l’alleanza gialloverde. Al punto che pure l’ipotesi della “scissione” è considerata un prezzo accettabile da pagare sull’altare della sopravvivenza del governo.
“Noi – osserva senza giri di parole Vito Petrocelli, presidente grillino della commissione Esteri del Senato e grande supporter di Di Maio – restiamo al governo. Elezioni non ce ne saranno. Se qualcuno nel Movimento non è d’accordo, si accomodi fuori. È l’unica rotta da seguire, che segna anche una maturazione del Movimento e vale tutti i possibili drammi”. Insomma, un inno “al governo per il governo”. Una filosofia che ha il suo “tornaconto”: il nuovo presidente dell’Inps è Pasquale Tridico, superconsulente di Di Maio per il reddito di cittadinanza.
E i suoi prezzi da pagare, come l’addio, se non oggi domani, dell’ala ortodossa interpretata da parlamentari come la Nugnes o la Fattori. Di fronte al crollo di consensi la coppia Di Maio-Casaleggio sembra aver individuato nella “simbiosi con Salvini” l’unica scialuppa di salvataggio. Costi quel che costi. O benefici…
E l’opposizione? “Io Salvini lo capisco pure – è il commento dell’ex premier, Paolo Gentiloni -, ma non capisco Di Maio. Su questa politica i grillini stanno crollando. È impressionante: se uno guarda le curve dei sondaggi i 5 stelle si stanno avvicinando a questo Pd. Il che è tutto dire. Ripeteranno la parabola del Movimento ‘dell’uomo qualunque’. Rischiano di sparire”.
“Ora stanno perdendo anche la loro ‘trasversalità’, cioè il non essere catalogabili nella destra o nella sinistra. Salvini li sta risucchiando a destra, lasciando un grande spazio a sinistra al Pd: malgrado il Pd”.
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