Su Carige “certamente come Lega siamo pronti ad un intervento pubblico, qualora in tempi brevi non si dovessero affacciare nuovi, veri, affidabili capitali privati. Di certo non lasceremo soli i tanti imprenditori e le famiglie che hanno bisogno di una banca forte, territorialmente radicata, a garanzia di un futuro di sviluppo”. Lo ha detto il vicepremier Matteo Salvini in un’intervista al Secolo XIX.
“Quella di Carige – premette – è una crisi che seguiamo con attenzione costante e su cui fin dal primo giorno ci siamo trovati con le assurde regole europee a metterci i bastoni tra le ruote”.
“Se non avessimo opposto la nostra più decisa resistenza, l’atteggiamento di Bruxelles avrebbe rischiato di aprire la porta dell’istituto a fondi speculativi internazionali con tutti i rischi del caso. Noi lo abbiamo impedito”. Ma se chiediamo il voto per l’Europa, spiga, è per riprendere il “sacrosanto diritto di proteggere la nostra economia reale di cui Carige rappresenta uno dei bastioni fondamentali”.
E ora tutti si chiedono dove sia la differenza tra il tipo di intervento di cui parla Salvini e quello che fece all’epoca il governo Renzi, il quale veniva “accusato” proprio dai leghisti, e dai 5 Stelle, di essere “amico delle banche”.
Forse ora Salvini capisce cosa voglia dire essere al governo e cosa voglia dire evitare il fallimento di una banca. “La situazione di Banca Carige è forse il principale elemento di preoccupazione per l’economia genovese e ligure. L’incertezza su una soluzione che garantisca una prospettiva all’istituto rende questa vicenda sempre più complessa”, dichiara infatti il Pd Liguria.
“Il Governo balbetta e oscilla tra intervento di mercato e nazionalizzazione, il presidente della Regione Toti dispensa la speranza di una qualche soluzione miracolistica e il sindaco Bucci confida nella mano invisibile del mercato. Ma il fattore tempo è una variabile molto importante, che non va sottovalutata. È necessario un grande sforzo collettivo”.
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