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Saman Abbas, il fratello al processo: “Ho visto tutto, mio zio l’ha presa per il collo”, il racconto atroce

Processo per Saman Abbas, il fratello dichiara: “Ecco la verità”. Ali Heider, minorenne all’epoca della scomparsa e del femminicidio di Saman, aveva in precedenza scagionato i cugini. Poi l’incredibile vicenda legale delle sue testimonianze, giudicate inservibili perché il ragazzo doveva essere indagato. Oggi, la prima udienza in cui il giovane può rendere una testimonianza valida.

Sono emersi sin da subito dettagli inquietanti del torbido rapporto familiare in un clima manipolatorio molto pesante e, in aula, il ragazzo ha sconvolto i presenti raccontando di fatto di essere testimone oculare dell’omicidio della sorella e di non aver parlato per paura di suo padre. La giovane Saman sarebbe rimasta vittima della famiglia la notte del 1 maggio 2021, nonostante fosse riuscita a ottenere l’affidamento presso un’altra famiglia. Una vicenda dai risvolti davvero tristi.
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Il fratello ora vuole dire tutta la verità

Il processo per Saman Abbas, il fratello: “Ecco la verità”

La diciottenne di Novellara tornò a casa per recuperare i documenti validi per il suo passaporto. Una scelta che purtroppo fu fatale, perché in famiglia si maturò la volontà di ucciderla. La giovane, infatti, era andata via di casa perché non voleva accettare il matrimonio combinato che le avrebbero imposto. Da alcuni mesi frequentava un ragazzo, di cui era innamorata. La famiglia venne a scoprire la situazione anche per una foto pubblicata sui social.

Cosa successe a quel punto? “Voglio parlare, voglio dire tutta la verità”, ha detto Ali Heider, dialogando oggi al giudice del Tribunale di Reggio Emilia, che gli ricordava la possibilità di non rispondere alle domane.
Ali è entrato in aula prima dei parenti imputati ed è stato fatto sedere dietro alcuni paraventi. In precedenza aveva detto che non sarebbero stati i cugini a uccidere la sorella, ma oggi ha ritrattato e spiegato perché.

Saman fu ritrovata senza vita 18 mesi dopo la sua scomparsa, in un capannone di pertinenza della famiglia. Un colpo mortale le ha spezzato il collo.

La testimonianza del fratello è essenziale

La testimonianza di Ali è fondamentale, unico della famiglia e tra i più vicini a Saman a non essere implicato direttamente nel femminicidio, a quanto emerso finora. Perché i cinque imputati sono la madre, Nazia Shaheen -ancora latitante, il padre Shabbar Abbas – estradato di recente dal Pakistan, dove era fuggito -, due cugini, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq – arrestati per primi – e lo zio, Danish Hasnain.

“Ho detto una bugia perché mio padre mi disse di farlo. Mi ha detto di non dire niente. Io da piccolo avevo paura di mio padre e di mio zio. Quando sono andato dall’altro giudice ho detto che non hanno fatto niente, ero costretto da mio padre”. “Quando avvenne?”, gli chiede il giudice. “Non lo ricordo. Ma prima e dopo mi hanno chiamato e detto di non dire niente dei cugini”. “Qualcuno ti aveva detto che Saman era stata seppellita?” “Sì, Noman, gli avevo chiesto io, perché volevo abbracciare mia sorella. Ma l’ho chiesto anche allo zio, prima di partire per Imperia”.

Lo zio Danish partì con lui in Liguria, ma venne bloccato e trasportato in una struttura per minorenni. Lo zio venne rintracciato alcuni mesi dopo in Francia. L’avvocato del cugino Nomanhulaq gli chiede: “Perché non parlasti negli interrogatori al pm e ai carabinieri?” “Perché non mi dissero di preciso dov’era, solo che era sotto terra. E sempre per la questione di mio papà, avevo paura di lui”. Di fatto, il ragazzo ha raccontato di aver assistito al sequestro della sorella, con tanto di trascinamento per il collo: “Ho visto mio zio prendere Saman per il collo e trascinarla verso le serre e anche i miei cugini. Dei miei cugini ho visto solo le facce perché erano nascosti, ma mio zio l’ho visto tutto. Ho visto tutta la scena perché ero sulla soglia della porta di casa”.

I piani dettagliati dell’omicidio

Leggo riferisce le ulteriori risposte di Ali. “Mentre facevano i piani, io stavo sulle scale ad ascoltare, non tutto ma quasi. Ho sentito una volta mio padre che parlava di ‘scavare’ e di ‘passare dietro alle telecamere’. A fare ‘piani’ erano Noman, papà, mamma e altri due, Danish e Ikram”. Anche la madre era presente”. Poi una domanda chiave, che non trova purtroppo risposta: “Dov’era Saman mentre sentivi queste cose?”. “Non ricordo, sono confuso. Quella riunione durò circa mezzora”.

Ali, testimone chiave del processo, si è visto nei giorni scorsi invalidare le testimonianze rese fino a questo momento. La vicenda è complessa. Nel corso dell’odierna udienza della Corte di Assise di Reggio Emilia, si apprende che “allo stato non è iscritto nel registro degli indagati della Procura per i minorenni di Bologna“. La presidente Cristina Beretti aveva sollecitato la richiesta di informazioni all’ufficio minorile in vista delle nuove udienze. Venerdì scorso la Corte aveva emesso un’ordinanza dove si diceva che le dichiarazioni del giovane pachistano sono inutilizzabili. Nel 2021, infatti, doveva essere indagato, anche a sua garanzia. La sua veste processuale era dunque mutata da testimone a quella di potenziale indagato in un procedimento connesso.

L’ordinanza è stata inviata dalla Procura reggiana a quella per i minori. All’epoca dei fatti Heider era minorenne. L’avvocata di Ali, Valeria Miari, ha rimesso il mandato come difensore di parte civile per lui e per l’Unione comuni della bassa reggiana. Mantiene il solo incarico di difensore del ragazzo, che dovrà essere sentito come testimone assistito. La legale ha riferito la propria decisione, dopo essere stata invitata dalla Corte a riflettere su una sua posizione di incompatibilità.
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