Il Labanof dell’Università di Milano, la squadra degli anatomopatologi al lavoro sul corpo di Saman Abbas, ha il duro compito di confermare o meno la tesi dell’autopsia sul suo corpo.
Gli esami istologici dovranno confermare che la diciottenne di origini pakistane, ma residente a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, sia morta per asfissia.
L’ipotesi è dunque quella dello strangolamento e non più di un taglio netto sulla gola, come era trapelato, invece, ieri sera.
A smentire questa ipotesi è il fatto che sul suo corpo non sono state trovate tracce di sangue.
Se l’ipotesi dello strangolamento dovesse trovare conferma, spiegherebbe anche la difficoltà, quasi l’impossibilità, finora, di ritrovare un’arma del delitto, oggetto di cui nessuno dei parenti intercettati ha mai parlato.
Il delitto di Saman Abbas va configurandosi come un femminicidio “‘d’onore” compiuto dai famigliari della vittima, perché lei si era opposta a un matrimonio obbligato, essendosi innamorato di un altro coetaneo.
Vista la situazione di pericolo, aveva trovato rifugio in una casa famiglia, ma per potersi emancipare aveva bisogno di documenti che la famiglia di origine le aveva trattenuto, costringendola a tornare per recuperarli.
Le immagini di una videocamera di sicurezza mostrano Saman uscire da casa sua con uno zaino, accompagnata dalla madre, che attende alcuni minuti, poi dal padre e forse da una terza persona.
È la notte del 30 aprile 2021. Di Saman si perdono completamente le tracce, sebbene sia subito chiaro che si tratti di un assassinio. Si indaga subito nella famiglia. Vengono arrestati due cugini, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, e lo zio, Danish Hasnain.
Il padre e la madre, probabilmente, riescono a scappare in Pakistan, dove il primo, Shabbar Abbas, è stato individuato e arrestato, in attesa di estradizione. Resta latitante la madre, Nazia Shaheen.