“Non ho mai minacciato le dimissioni. Il deficit al 2,4% è frutto di una negoziazione politica”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria rompe il silenzio con un’intervista al Sole 24 Ore in cui offre la sua versione sulla trattativa che ha portato ai numeri di finanza pubblica da inserire nella Nota di aggiornamento al Def. E soprattutto si rivolge al Quirinale spiegando che “il pareggio di bilancio rimane un nostro obiettivo fondamentale”, e all’Europa: ”Mi rendo perfettamente conto delle preoccupazioni della commissione – spiega il ministro – ma non si tratta assolutamente di una sfida alla Ue. Ma il punto in discussione è come operare in modo anticiclico in una fase di frenata dell’economia”.
L’unico punto politico che lo pone in linea con i colleghi e soprattutto con Paolo Savona, titolare degli Affari Ue da molti indicato come il “ministro ombra di via XX Settembre”, è la tesi secondo cui senza un accordo sulla manovra “avremmo avuto un rischio di instabilità politica e ancora bassa crescita”. Tradotto: governo a casa, nuove elezioni, incertezza sui mercati. E qui si spiega anche la decisione di restare al suo posto. Ma viene fuori anche la “magagna”…
Il vero guaio viene quando Tria spiega nel merito tecnico l’obiettivo di questa manovra: “Puntiamo su una crescita all’1,6% nel 2019, con il rilancio degli investimenti”. Lo stesso Savona, però, in una contemporanea intervista al Fatto quotidiano, ha fissato altri numeri: “Per stare a galla serve una crescita al 3% già dal 2019″. Altro che 1,6%. Il governo, quindi dà i numeri, e una cosa è ormai certa: ci sono due galli a cantare. L’ipotesi che Tria sia solo un prestanome e la vera manovra sia in realtà di Savona inizia a prendere sempre più forma.
Un governo di prestanomi insomma: Conte al posto di Di Maio e Salvini e Tria al posto di Savona che proprio Mattarella bocciò all’Economia. Nell’intervista Tria assicura che la manovra garantirà una discesa del debito anche grazie a una clausola di salvaguardia sulla spesa che impedirà aumenti ulteriori di deficit rispetto ai target. Un messaggio, questo, essenziale anche per i mercati: ”Il mio auspicio è che l’allarme rientri ora che spiegheremo la manovra che stiamo preparando”.
Il ministro dell’Economia, per ora, è ancora Tria, dunque, ma ma la cosa “divertente” è che la manovra la spiega il collega Paolo Savona. C’è abbastanza per leggere nell’intervento del titolare degli Affari Ue una sorta di passaggio di consegne. D’altronde, più d’uno indica proprio in Savona il “ministro-ombra” di via XX Settembre, e mentre le difficoltà evidenti di Tria nel seguire la linea imposta da Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono evidenti, la sicurezza con cui l’economista 72enne difende la futura manovra gialloverde non può essere un caso (a buon intenditori, poche parole).
Quello che spaventa Tria, il deficit al 2,4%, lascia indifferente Savona, il quale poi spiega perché era fondamentale inserire “il reddito e la pensione di cittadinanza, nonché il pensionamento anticipato”, tutte misure ovviamente a debito per le casse dello Stato. “La preoccupazione sul deficit è secondaria”. Quindi “massicci investimenti” che potrebbero contribuire a far salire la crescita “avvicinarci alla soglia minima del 3%” che stabilizzerebbe il Paese e cancellerebbe il “contro” del deficit. Che parlino Tria, Savona, Di Maio, Salvini (o Conte) è indifferente, ognuno ne dice una: segniamoci i numeri e giochiamoli al Lotto, forse solo così avremo un’assicurazione sul futuro se dovessimo vincere.
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