Sconfiggere la morte con la tecnologia: potremo mai farlo?
A metà tra fisica, ricerca sociale, economia delle imprese e filosofia c’è una disciplina che si chiama futurologia, nata (nella sua versione moderna, perché in filosofia e religione esiste da sempre) alla fine degli anni ’70 con gli studi del MIT di Boston sull’esaurimento delle materie prime fondamentali dopo gli anni 2000, studi commissionati da un gruppo di imprenditori, intellettuali e politici noto come il Club di Roma.
La futurologia cerca di analizzare e prevedere il futuro, attività tutt’altro che nuova che da sempre catalizza il pensiero umano. Oggi, tuttavia, la situazione è molto diversa rispetto al passato perché lo sviluppo tecnologico ormai esponenziale che caratterizza i nostri tempi rende plausibili ipotesi davvero “futuristiche” come potevano essere, fino a qualche anno fa, i viaggi spaziali o i trapianti di organi, abilitando la nostra fantasia a immaginare soluzioni inaspettate ai grandi problemi dell’uomo.
Illustri intellettuali sostengono che viviamo in una delle epoche più luminose della storia dell’umanità, nella quale la conoscenza umana guida lo sviluppo dei popoli e si muove a ritmi intensissimi che continueranno a crescere nel prossimo futuro. E allora vediamo il grande colosso Google che investe 1,5 miliardi di dollari in Calico, azienda composta da illustrissimi scienziati (inclusi i bioinformatici e i biologi computazionali) che indagano il rapporto tra tecnologia e malattie, tra tecnologia e invecchiamento. E, andando oltre, tra tecnologia e morte. Sì, perché in fondo questa è la domanda che da millenni assilla l’essere umano: come possiamo controllare la morte? Se siamo riusciti a controllare la vita infatti, siamo ancora lontani dal poter fare lo stesso con la morte, anche se sono molte le startup che si stanno interrogando sul tema in Silicon Valley.
Il fondatore di Facebook e la moglie hanno stanziato un fondo di 3 miliardi di dollari per la Chan Zuckerberg Initiative, un istituto di ricerca che si pone l’obiettivo di curare tutte le malattie. E c’è persino un chirurgo torinese, Sergio Canavero, che promette di eseguire il primo trapianto di testa alla fine di quest’anno.
Il confine tra fantasia, bufala e realtà è più sottile di quanto si pensi: sconfiggere la morte con la tecnologia potrebbe essre il porssimo passo? Basta rivolgere lo sguardo al passato per ricordarci di quando i trapianti di organi sembravano impossibili, o quando per comunicare con qualcuno nell’altro emisfero si usavano le lettere. Non molto tempo fa in fondo.
Il compito dei futurologi è proprio quello di studiare soluzioni che oggi non esistono, immaginare un futuro che sembra impossibile e elaborare, in anticipo, soluzioni ai problemi di domani. Il più autorevole istituto di studi in questo senso è L’Institute for the Future di Palo Alto, in California, una organizzazione no profit dall’altissimo profilo scientifico sulla cui falsariga è nato l’Italian Institute for the Future, con sede a Napoli, che mette insieme attori disparati (dall’UNESCO al CNR, passando per associazioni private e enti di ricerca) tutti impegnati a studiare e costruire il nostro futuro. Lo scorso 7 aprile all’Università di Trento si è tenuto il primo meeting degli esperti italiani di future studies: se volete saperne di più visitate il loro sito web.