Ancora una giornata ad alta tensione, quella vissuta con gli occhi puntati sulla nave Sea Watch 3. L’imbarcazione ha forzato la mano e provato a entrare in porto a Lampedusa. Una decisione arrivata dopo che la Sea Watch era rimasta ferma 24 ore a tre miglia dall’isola, in attesa dell’autorizzazione della capitaneria di porto ad attraccare. La capitana Carola Rackete, dopo aver scritto alle autorità senza ricevere risposta, ha così mandato avanti le macchine dichiarando di fare ingresso in porto.
Non sono mancati, di contro, politici che hanno scelto di schierasi dalla parte opposta. Il sindaco di Napoli De Magistris ha ringraziato la capitana Rackete impegnata a “salvare vite in mare”. L’ex 5 Stelle De Falco l’ha a sua volta difesa, sostenendo che quelli a bordo sono “naufraghi, non migranti”.La Meloni si è invece schierata con la Lega, chiedendo più volte all’Olanda di assumersi la responsabilità dell’accoglienza. Un passaggio in realtà privo di fondamento giuridico: le navi ong vengono considerate un’estensione del territorio del paese di cui battono bandiera e l’articolo 13 del trattato di Dublino stabilisce che, se “il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno stato membro”, quel paese è “competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”.
Come spiegato dal controammiraglio Nicola Carlone della Guardia costiera italiana in un’audizione parlamentare alla Camera il 3 maggio del 2017, “Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi”. L’Olanda, inoltre, non è ovviamente il porto sicuro più vicino.
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