Il suo nome è Mahak Hashemi e ad appena 16 anni è stata uccisa a manganellate dalle forze di sicurezza iraniane nella città di Shiraz, nella regione centromeridionale del Paese. L’ennesima vittima delle manifestazioni che vanno avanti in Iran da 3 mesi, dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, come segno di protesta contro il regime non indossava più il velo, ma un cappello da baseball. Mahak Hashemi aveva deciso di uscire di casa così ogni mattina: niente velo, ma solo un cappello.
La sua morte ha una data: 24 novembre. Da due giorni i familiari non avevano più sua notizie. Poi, improvvisamente, ecco una chiamata arrivvare a casa. La richiesta fatta al padre era quella di recarsi all’obitorio per riconoscere due cadaveri. E drammaticamente uno dei due cadaveri era proprio quello di Mahak Hashemi. Irriconoscibile o quasi il bellissimo volto della sedicenne, completamente deformato dalle manganellate ricevute; fratturata la schiena. Le guardie della IRGC hanno poi inflitto il colpo finale alla famiglia di Mahak: la richiesta di un riscatto altissimo affinché il corpo della giovanissima fosse restituto e il divieto di celebrare qualsiasi forma di funerale o di ricordo pubblico.
Per il regime iraniano, sono oltre 300 i morti dall’inizio delle proteste seguite alla morte di Mahsa Amini. Il bilancio approssimativo è stato fornito dal generale Amir Ali Hajizadeh, comandante della divisione aerospaziale dei Pasdaran, secondo cui nel totale sono compresi anche ‘martiri’, cioè membri delle forze di sicurezza. Si tratta di una stima inferiore alle cifre riportate da Human Rights Activists in Iran, gruppo americano che segue le proteste da oltre due mesi: per loro, sono 451 i manifestanti e 60 i membri delle forze di sicurezza uccisi, oltre 18 mila le persone arrestate.