Selvaggia Lucarelli torna a parlare della madre morta di Covid soltanto pochi giorni fa. E lo fa postando sui social una poesia scritta dalla signora Nadia Hagen nel 1963, quando aveva solo 20 anni. Le parole struggenti contenute nel testo allontanano così le furiose polemiche che erano seguite alla decisione della giornalista di prendere parte ugualmente all’ultima puntata di Ballando con le stelle, programma di cui è giudice, nonostante la scomparsa della mamma.
“È dolce. – questo il testo della poesia della mamma di Selvaggia Lucarelli – Pensavo che fosse difficile. Pensavo che avrei pianto, forse sofferto. È dolce, invece, morire. Aspetto te e ho l’abito verde perché mi hai detto una volta che ti piaceva. Aspetto te e ho i capelli sciolti perché mi hai detto una volta ch’erano belli. Aspetto te ma non riesco a sorridere anche se mi hai detto una volta ch’ero più dolce. Ho aspettato sola nell’aria quieta e avevo negli occhi il grigiore della sabbia. E pareva che il mare vivesse con me la mia attesa. Poi ti ho veduto di lontano venire e anche tu eri grigio come la spiaggia di settembre. Hai detto poche parole e io le ho appena sentite. Il mare ora parlava con voce più chiara. Ti sei allontanato e a me è rimasto soltanto il richiamo solitario d’un gabbiano e una fioritura d’orme sulla sabbia bruna”, Nadia Hagen ‘Lacrime, forse”, 1963.
“Devo fare una premessa: i familiari di persone che soffrono di Alzheimer sono in qualche modo preparati. – dichiarava qualche giorno fa Selvaggia Lucarelli intervistata dal Corriere della Sera – Non che si possa essere mai davvero preparati a perdere qualcuno, ma il momento in cui svanisce l’essenza della persona per quello che è stata, per come tu te la ricordi, è un altro. Due anni fa, abbiamo perso la sua anima. Era rimasto il corpo, qualche sorriso, qualche sguardo in cui ci sembrava di scorgere un ricordo, un bagliore. Il vero addio è stato quando l’ho guardata negli occhi e ho capito che non mi riconosceva più. Ed è stato più doloroso dell’addio al corpo di ieri”.
“Io mi aspetto sempre il peggio, ma quando arriva è sempre un po’ peggio e un po’ più sgradevole di quello che mi aspettavo. – proseguiva Selvaggia Lucarelli – Di base c’è un enorme corto circuito: siamo così abituati alla strumentalizzazione del dolore trasformato in pochi secondi in rivendicazioni, posizionamenti e fertilizzante per il proprio brand che se uno osa lasciarlo in una stanza, senza esibirlo e sventolarlo, viene additato come cinico”.
“Io non ho scritto cosa provo, ho scritto che è morta. – precisava la giornalista – E non accetto che mi si dica cosa dovrei provare. Questo è un altro aspetto grave: si dà per scontato che la morte di un genitore debba voler dire sofferenza, dolore, che ci si debba chiudere in casa. Io rifiuto questi cliché sulla sofferenza dovuta. Bisogna dire a chiare lettere che ci si può sentire sollevati, anche se non è il mio caso. Non c’è nulla di dovuto, ognuno elabora il lutto come desidera”.
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