Un dramma nel dramma, quello che i famigliari delle persone scomparse in questi giorni stanno vivendo. L’impossibilità anche di dire addio ai propri parenti, venuti a mancare in piena emergenza coronavirus. Negli obitori della Lombardia, come raccontano in queste ore i testimoni, non ci sono più posti. Gli ospedali chiamano di continue, bisogna mettere i deceduti nelle bare e portarli via il prima possibile, senza spazio per gli ultimi saluti, le lacrime, le preghiere. Uno strazio che non tutti riescono ad accettare.
Nessuno può avvicinarsi alle salme, nelle tante Regioni d’Italia colpite fortemente dal diffondersi del contagio. La Lombardia, il Veneto, il Piemonte, l’Emilia-Romagna. Funerali civili e religiosi sospesi, cimiteri chiusi e visite vietate. Le benedizioni vengono date in maniera frettolosa. Un cambiamento drastico anche nel modo di affrontare la morte delle persone vicine, con i parenti che spesso si trovano a loro volta in quarantena.
Repubblica ha raccolto le testimonianze di alcuni operatori delle pompe funebri nel nord Italia. Racconti terribili e allo stesso tempo commoventi. Le famiglie delle vittime ricevono i documenti da firmare da sotto la porta e, sempre sotto la porta, fanno passare fotografie da mettere nelle mani degli scomparsi prima di chiudere la bara. E così tocca a loro, a chi lavora nel settore, sostituirsi al sacerdote, agli amici, pronunciare qualche parola di fronte al defunto su richiesta dei parenti che non possono entrare in ospedale.
Non c’è più spazio nemmeno per chi si occupava, fino a qualche settimana fa, di vestire i defunti. I corpi non possono essere toccati, per evitare di contribuire al contagio. Arrivano in obitorio nudi e devono essere messi in una cassa di zinco o nel sacco biodegradabile entro un giorno. Figli, nipoti, fratelli e sorelle a volte seguono il carro funebre senza poter accompagnare fino in fondo il caro scomparso. Piangono, disperandosi per non aver potuto fare di più.
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