Ha deciso di parlare per la prima volta dal rilascio, Silvia Romano. Raccontando la sua storia e la sua conversione, che le ha attirato negli scorsi mesi l’odio di tanti italiani, a Davide Piccardo, direttore del giornale online La Luce e portavoce del coordinamento delle moschee di Milano e della Brianza. Spiegando: “Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino. Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo Lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come…”.
La cooperante ha spiegato che prima della partenza e prima ancora del rapimento era “completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una persona non credente; spesso, quando leggevo o ascoltavo le notizie sulle innumerevoli tragedie che colpiscono il mondo, dicevo a mia madre: vedi, se Dio esistesse non potrebbe esistere tutto questo male … quindi Dio non esiste, altrimenti eviterebbe tutto questo dolore. Mi ponevo queste domande rarissime volte, solo quando – appunto – mi confrontavo con i grandi mali del mondo. Nel resto della mia vita ero indifferente, vivevo inseguendo i miei desideri, i miei sogni e i miei piaceri”.Silvia Romano ha spiegato anche la sua scelta di indossare il velo islamico: “Il concetto di libertà è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo. Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”.
Silvia che è stata oggetto di una violenta campagna di odio social per la sua conversione, ha spiegato di sentirsi “gli occhi della gente addosso: non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio”. La scelta del nome Aisha, come oggi Silvia si fa chiamare, deriva da qui: “Ho sognato di trovarmi in Italia, passavo ai tornelli della metropolitana e sulla mia tessera dell’Atm c’era scritto Aisha e poi è un nome che significa viva”.
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