Anche se tutti dicono che i sondaggi non contano nulla, in questa fase politica più che mai, invece, dicono molto. L’ultimo sondaggio SWG è significativo perché conferma una tendenza delle ultime settimane e prospetta un ulteriore leggero travaso di voti dalla maggioranza all’opposizione. Fa colpo nei titoli e sulla rete, ma nella sostanza non vuol dire molto. Gli spostamenti sono tutti molto largamente all’interno del margine di errore e le intenzioni di voto senza campagna elettorale in corso valgono comunque poco.
Quest’ultimo criterio, per quanto confermato nei fatti più volte, è da tempo dimenticato dalla politica italiana. Il borsino virtuale dei partiti coglie tendenze di fondo, segnala disponibilità, non di più. Il discorso è diverso per i sondaggi su un tema specifico, in genere più indicativi.
Qui la faccenda si fa interessante e meriterebbe qualche titolo. Il sondaggio SWG di ieri proponeva i pareri sulla trattativa in corso con l’Ue a proposito della manovra economica. Solo il 19% per cento degli interpellati sposa l’opzione della indisponibilità a mutarla mentre quasi il 70%, il 68% per cento per la precisione, si divide fra chi auspica una completa revisione della manovra, ed è il gruppo maggioritario con il 38%, e chi prospetta modifiche ridotte per venire comunque incontro all’Ue.
Una manovra economica ha molto poco di simbolico, e il nazional-sovranismo sembrerebbe fare poco colpo sull’opinione pubblica che del resto si è sempre mostrata in maggioranza contraria anche all’uscita dall’euro. Tutto questo dovrebbe costituire il terreno prioritario di lavoro per una seria opposizione. Assai più di qualche decimale che si sposta da un partito all’altro.
Il problema è che l’opposizione sembra continuare ad arrancare. E se Forza Italia sembra sempre più propensa a ricompattare il centrodestra ritornando così al governo con l’amico-nemico Salvini, il Pd, il principale partito di oppisizione, continua nei suoi litigi interni e ancora non si è capito che anima vorrà darsi.
Dovesse vincere Zingaretti, è probabile che l’asse si sposti a sinistra, inglobando gli ex fuoriusciti per rancore nei confronti del rottamatore Renzi. Dovesse vincere invece uno tra Minniti e Martina, il Pd potrebbe conservare un’anima ancora renziana. Inoltre, Zingaretti dovrebbe essere il portavoce di un’alleaza possibile con i 5Stelle, cosa che la base del partito, in realtà, ha più volte detto di non voler nemmeno contemplare. Vanno bene i calcoli, ma è già tardi: l’opposizione doveva essere già compattata e pronta a dimostrarsi pronta offrire un’alternativa agli italiani che non tollerano più questo governo.
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