Giorni di grande passione sui mercati, con lo spread che sale fino a raggiungere i massimi negli ultimi cinque anni e l’euro sotto pressione. Il risultato, in realtà per niente inaspettato, dei dubbi di Bruxelles sull’operato del nostro governo e di una risposta italiana considerata non convincente. A Milano il Ftse Mib ha segnato la performance peggiore in Europa ma risale dai minimi, con le banche che limitano le perdite ma segnano comunque cali del 3%. Il tutto mentre, dopo le critiche del commissario Pierre Moscovici, anche il presidente della commissione Ue Pierre Juncker esprimeva perplessità sulla situazione italiana, analizzando il rischio di trattamenti speciali che potrebbero portare alla fine dell’euro.
Anche lo spread BTp/Bund ha risentito degli scontri verbali tra Italia e istituzioni Ue: il differenziale di rendimento tra il decennale benchmark italiano e il Bund benchmark ha iniziato la giornata a 311 punti base, segnando il nuovo massimo da giugno 2013, col rendimento dei titoli italiani al 3,56%. Subito dopo l’apertura, lo spread si è riportato poco sotto la soglia dei 300 punti base, in ogni caso in forte rialzo rispetto alla chiusura di ieri a 283 punti. Soffrono le banche, con Morgan Stanley che ha ridotto il target price di diversi istituti di credito italiani. In avvio il Banco Bpm è andato subito in asta con un calo del 5%, per poi rientrare e limitare le perdite. Stesso andamento anche per Ubi Banca, in rosso anche Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mediobanca.
In questo clima tutt’altro che sereno c’è una data da segnare in rosso sul calendario: il prossimo 26 ottobre, quando quella che i giornali stanno definendo come “una tempesta” potrebbe raggiungere la sua violenza massima. In quella data, infatti, Standard & Poor’s emetterà il suo giudizio sull’Italia, con il rischio di un declassamento per il rating del nostro Paese. Le conseguenze? Impossibile anticiparlo con certezza assoluta, ma il rischio è che la Bce smetta di acquistare il nostro debito pubblico proprio a ridosso del momento in cui il Parlamento si esprimerà sulla legge di bilancio. Uno scenario che potrebbe spingere il ministro Tria a una clamorosa retromarcia sull’ormai famigerato deficit al 2,4%.
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