Strage di Erba, ecco chi si oppone alla riapertura del caso. Piero Colaprico, su Repubblica, scrive un duro articolo con il quale contesta la richiesta di Cuno Tarfusser. Il sostituto procuratore generale di Milano ha chiesto di riaprire il caso. Ma per Colaprico, “non è per niente ‘pacifico che sono tre, solo tre, le prove che inchiodano i coniugi Romano/Bazzi'”. Ecco perché.
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Ecco chi si oppone alla riapertura del processo sulla strage di Erba
La strage di Erba, in provincia di Como, è avvenuta l’11 dicembre del 2006 nel cortile di un condominio in via Armando Diaz, 25. “Il primo giorno di gelo” in città, ricorda Colaprico. Le autorità accorrono in serata, richiamate dalle fiamme di un incendio sviluppato nell’appartamento di proprietà di Raffaella Castagna, moglie di Azouz Marzouk, “piccolo gangster”, come lo definisce il cronista. Si scoprono quattro cadaveri. La stessa Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, è gravemente ferito con un fendente alla gola. Sopravviverà e la sua testimonianza sarà decisiva e controversa al tempo stesso. Tra le vittime, anche il cagnolino asfissiato dal fumo.
Sulla strage di Erba, ecco chi si oppone alla riapertura del caso. Continua Colaprico su Repubblica, contestando le parole del sostituto procuratore Tarfusser: “accanto alle loro confessioni (prima prova), alla macchia di sangue di una delle vittime sull’auto della coppia (seconda), e al riconoscimento ad opera dell’unico superstite (terza, e già bastano; rectius , basterebbero), c’è dell’altro; ma Tarfusser lo ignora”.
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I motivi per cui il caso della strage di Erba non andrebbe riaperto
“Ci sono sia i sopralluoghi sulla scena del crimine sia la corrispondenza tra le dichiarazioni dei due coniugi ergastolani e i numerosi riscontri oggettivi”. Il giornalista, specializzato in cronaca nera e giudiziaria e autore di numerosi libri-inchiesta, prova a discutere i motivi più rilevanti per cui il processo non andrebbe riaperto. Il ragionamento è tutto basato sui dettagli e sui comportamenti dei colpevoli. “Da dove sono scappati gli assassini? C’è sangue ovunque sulle scale e sulle maniglie delle porte, ma nel cortile niente. Pulito. Una fuga dal terrazzo? Niente sangue nemmeno là. E quindi?”
Olindo e Rosa, vicini di casa delle vittime, inutilmente contattati per ore dai carabinieri, rientrano in casa solo alle 2.30. Gli inquirenti si erano informati su eventuali “ruggini” tra vicini. “Le vittime avrebbero dovuto incontrarsi davanti al giudice di pace con la coppia di Olindo Romano e Rosa Bazzi, che protestavano da tempo per la maleducazione dei rumorosi vicini”. Al rientro, i due non si informano sull’accaduto nonostante il caos imperante e la presenza delle forze dell’ordine. Poi, senza che nessuno chieda loro dov’erano, Rosa mostra lo scontrino di una pizzeria dove i due avrebbero passato la serata.
In piena notte, prosegue Colaprico, “la lavatrice è in funzione. E lei ha una ferita a un dito e piccoli lividi sul dorso della mano sinistra e all’avambraccio. La morte del bimbo di due anni è stata esattamente causata da colpi ‘inferti con la mano sinistra (…) essendo stata impegnata la destra dell’aggressore ad afferrare il braccio per immobilizzare il piccolo con la faccia sulla seduta del divano’. C’è stata ‘una minima azione di difesa operata dal piccolo, prima di essere colpito a morte sul divano del soggiorno’: Rosa è mancina”.
I dettagli e le coincidenze che inchiodano Rosa e Olindo
“È questo lo scenario, non considerato dal magistrato Tarfusser, sul quale s’inseriscono le tre prove regine”, tuona Colaprico. Ma ci sono anche molte altre “coincidenze”. “Come sono entrati Olindo e Rosa, armati di spranga e coltello, nella casa della famiglia che odiavano? Hanno staccato il contatore della luce, in modo che qualcuno scendesse al piano terra per riattivarlo. Sono loro che lo dicono. Nessuno lo sapeva prima. I carabinieri controllano. Il contatore risulta staccato. Secondo dettaglio. Mentre Rosa sgozzava il bambino, Olindo sprangava mamma e figlia: sono morte subito? No. Le hanno finite, spiegano i due, soffocandole con i cuscini. E i cuscini sono in effetti accanto ai corpi. Terza coincidenza, l’incendio è stato appiccato con dei libri. I riscontri dei vigili del fuoco confermano”.
Infine, “una questione da libri di giurisprudenza: il procuratore generale di Milano si chiama Federica Nanni e non Cuno Tarfusser, che è un sostituto. Solo la prima può chiedere a Brescia la revisione del processo. Per adesso, tutto è fermo”. Conclude Colaprico: “Oggi, gli avvocati Fabio Sghembri e Paolo Sevesi assicurano di avere due nuovi testimoni e rileggere un processo si può, anzi si deve: se c’è un ragionevole dubbio. E se il dubbio fosse irragionevole?”.
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