“Siamo già condannati, comunque vada per l’opinione pubblica saremo sempre noi i depositari dei segreti del depistaggio sulla morte del giudice Borsellino”. L’accusa nei loro confronti è di quelle pesanti, ed è tra le più odiose: calunnia aggravata al fine di favorire Cosa Nostra. E il caso attorno a cui ruota la vicenda tra i più noti della storia recente del Belpaese: la strage di via D’Amelio, dove il 19 luglio 1992 persero la vita in un attentato di mafia il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Prenderà il via il prossimo 5 novembre a Caltanissetta il processo a due ex funzionari della squadra mobile di Palermo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, oggi pensionati di 62 e 60 anni, accusati di aver manipolato le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino al fine di incolpare Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Giuseppe Urso di aver partecipato alla fase esecutiva dell’attentato di via D’Amelio.
Tali accuse, poi, si rivelarono infondate a seguito delle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, ritenuto più affidabile. Sul banco degli imputati con Mattei e Ribaudo anche il loro ex dirigente Mario Bo: gli altri poliziotti coinvolti nella vicenda depistaggio, compreso l’ex comandante Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, sono usciti dal processo a seguito della richiesta di archiviazione della Procura di Caltanissetta. Mattei, Ribaudo e Bo saranno invece giudicati, e rischiano da 15 a 30 anni di reclusione. Ciò che la Procura contesta a Mattei e Rimbaudo, che si occupavano della sicurezza di Scarantino, il quale a malapena sapeva leggere e scrivere, è di avere imbeccato il falso pentito mettendo a punto a tavolino le sue dichiarazioni affinché non le ritrattasse in aula. Bo avrebbe coordinato questa operazione di condizionamento. Le perizie calligrafiche hanno confermato che gli appunti attribuiti a Scarantino sono stati scritti da Mattei. Il quale già nel 1995 aveva confermato di averlo aiutato ad esprimersi, respingendo però, al pari del collega Rimbaudo, l’accusa di aver tradito lo Stato e di essere favoreggiatore della Mafia.
“Noi non abbiamo mai avuto alcun beneficio – afferma l’ex poliziotto – non avrei avuto motivo di prendermi questa croce. Per proteggere chi e in cambio di cosa? Ero sovrintendente e ho chiuso la carriera da ispettore”. I due hanno sempre negato ogni addebito, ma si sentono già condannati agli occhi dell’opinione pubblica. “Colleghi, magistrati, avvocati – aggiunge Mattei – ci dicono di girare a testa alta, di credere alla nostra innocenza”. “Rispettiamo la famiglia Borsellino – conclude Rimbaudo – ma non abbiamo mai tradito lo Stato e la memoria del giudice”. Spetta alla Procura di Caltanissetta il compito di chiarire una delle tante zone d’ombra che ancora oggi incombono sui depistaggi di via D’Amelio.
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