L’idea aveva stuzzicato in queste ore sia il premier Conte che il ministro Toninelli, entrambi alle prese con lo spinoso caso Tav e con la necessità di mediare tra l’anima oltranzista del Movimento, quella barricata sul fronte del no all’alta velocità Torino-Lione, e quella parte di Paese (alleati di governo compresi) pronta a scendere in piazza per chiedere il completamento dell’opera. La soluzione era stata individuata in una sorta di “mini-Tav”, un percorso alternativo e meno invasivo. Un piano sconfessato però dagli stessi parlamentari pentastellati.
Stefano Patuanelli, presidente dei senatori M5S, lo ha chiarito a Repubblica: “Bisognerebbe comunque bucare la montagna, e per noi questo non potrà mai avvenire”. Un grana decisamente non da poco per Luigi Di Maio, l’uomo che in tutto questo rischia più di tutti. Grillo ha ribadito senza troppi giri di parole che “la Tav non s’ha da fare”. E d’altronde la carriera politica del comico genovese era iniziata simbolicamente proprio con il sostegno alla parte di popolazione piemontese schierata contro l’opera.
Di Maio sa che in ballo c’è la sua intera avventura in Parlamento. Statuto 5 Stelle alla mano, è possibile che venga infatti sfiduciato dai componenti del Comitato di Garanzia. Il tentativo di liquidare il caso Tav con una “soluzione a metà” potrebbe far scattare proprio questo tipo di procedura nei suoi confronti, con tanto di accusa di tradimento nei confronti dei capisaldi del Movimento.
Per salvare capra e cavoli, Di Maio ha invitato la commissione incaricata dell’analisi costi-benefici alla massima attenzione, anche sotto il profilo giuridico, al momento del verdetto sulla Tav. Salvini è pronto ad attaccare le stime pentastellate, consapevole che le elezioni regionali in programma potrebbero rafforzare la sua egemonia sul nord Italia. I Cinque Stelle hanno il nemico in casa. E ogni mediazione, a partire dalla Tav, finirebbe per risultare controproducente.
Andiamo a comandare (in Europa): Di Maio e Di Battista in auto verso Bruxelles, l’ultima trovata M5S